Capitolo 1

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Mi trovavo al parco, seduta su una panchina in legno che si affacciava su un piccolo spiazzo dove alcuni bambini giocavano insieme. Le loro risate giungevano alle mie orecchie e un piccolo sorriso apparve sul mio volto. Le risate cristalline e innocenti dei bambini riuscivano sempre a farmi tornare il sorriso. Quel giorno era il mio compleanno ma, nessuno mi avrebbe fatto gli auguri, nessuno avrebbe utilizzato un po' del suo tempo per dedicarsi a me, era normale, non posso aspettarmi che tutti girino intorno alla mia persona oppure che pendano dalle mie labbra.
Ogni anno ero piuttosto scocciante, perché quando mio fratello mi chiedeva che cosa volessi, io rispondevo sempre allo stesso modo:"Non voglio niente, grazie comunque". Rispondevo così perché sapevo i sacrifici che lui faceva per andare avanti. Da quando nostra madre era morta, lui aveva iniziato a lavorare, faceva molti turni extra per guadagnare di più. Alla fine si ammalò gravemente e non fu possibile curarlo. Alla sua morte non piansi, sapevo che lui non voleva vedermi piangere. Mi alzai dalla panca e uscii dal parco. Tornai a casa, non la casa dei miei zii, i quali avevano generosamente accettato di ospitarmi a casa loro per non farmi finire in orfanotrofio, ma andai dinanzi ad una piccola casetta della periferia di Long Island. Quella casetta non era troppo grande o troppo piccola, non era molto lussuosa né rovinata del tutto. Entrai nella villetta che mi aveva ospitata da piccola, feci un giro per le camere, vedendole come erano quando la mamma e Haiden erano ancora vivi, mi diressi verso il piano superiore, dove si trovava la mia vecchia camera. Entrai nella vecchia stanza, la finestra si affacciava sul giardino sul retro una volta ben curato e ora pieno di erbacce. Mentre andavo verso la finestra le assi del pavimento scricchiolavano. Una volta alla finestra guardai l'orizzonte. Sullo sfondo vi era una foresta dalla quale si ergeva un pino enorme. Mi ricordo che la notte non facevo altro che sentire versi strani oppure persone che urlavano, di gioia o di dolore. Mentre i ricordi si facevano spazio nella mia mente, una mano calda afferrò la mia spalla. Mi girai di scatto spaventata, dinanzi a me si trovava un uomo sulla ventina dalla pelle perfettamente abbronzata e dai riccioli d'oro. Gli occhi azzurro cielo erano a dir poco mozzafiato. Un sorriso si presentò sul viso del giovane, che disse:«Ciao».
Spostai la sua mano dalla mia spalla e risposi:«Tu chi sei? Cosa ci fai qui? Che cosa vuoi?» domandai.
Lui sospirò:«L'educazione è all'ordine del giorno a quanto vedo, comunque, io sono Apollo, dio del sole, della medicina, delle arti, della musica, della poesia, delle malattie, delle profezie e della scienza che illumina l'intelletto-»
Il ragazzo fu interrotto da me che dissi in modo sarcastico:«Poche cose, insomma» lui mi guardo con una faccia che diceva 'Ma sei seria?' e disse:«Esilarante, davvero, comunque sono venuto a prenderti per portarti al Campo». Rimasi scettica:«Quale Campo? E poi, tu sei veramente Apollo? Quell'Apollo divinità greca? Sai non ti credo...sembri più uno stupratore» dissi allontanandomi.
Mentre indietreggiavo lui mi si avvicinava:«Intendo il Campo Mezzosangue, e comunque sì, sono io, Apollo il solo ed inimitabile! E qualche pensierino lo farei su di te» disse ammiccando e sorridendomi.
Io risposi:«Prova solo a toccarmi e finisci allo spiedo» mentre parlavamo io continuavo ad indietreggiare e lui ad avvicinarsi, finché, per mia sfortuna le mie spalle si scontrarono leggermente contro la parete, lui era davanti a me e il suo viso era a pochi centimetri dal mio. Involontariamente le mie guance iniziarono a riscaldarsi e ad assumere una leggera tonalità rosata che però andavano subito a contrastarsi con la mia pelle lattea. Lui sorrise leggermente:«Sei carina quando arrossisci», io di conseguenza continuai ad arrossire sempre di più.
All'improvviso la sua mano calda toccò il mio polso completamente ghiacciato e disse:«Sfortunatamente dobbiamo andare, abbiamo già perso tempo». Uscii con lui dalla villetta. Lui mi guardò e disse:«Non userò il teletrasporto, siamo vicini, il Campo Mezzosangue si trova dopo quel bosco». Ci dirigemmo in silenzio verso la foresta e la attraversammo con poca difficoltà. Mi ritrovai dinanzi ad un pino, mi trovavo accanto al pino che si vedeva dalla finestra della mia vecchia casa. Lì un pensiero mi balenò nella testa e lo espressi subito al dio al mio fianco:«Aspetta un attimo, i miei zii non sanno che sono qui! Li devo avvisare! E se mi credono morta?! E se credono che mi hanno rapita?!» lui si mise a ridacchiare:«Hai fatto cilecca, certo che lo sanno, sono passato a casa tua prima di venire a prenderti...Ah, comunque, buon sedicesimo compleanno Diana» disse facendo nuovamente uno dei sui sorrisi così caldi da sembrare il Sole stesso.
Mi riscossi dai miei pensieri:«G-Grazie...» dissi leggermente a disagio: non ero abituata a ringraziare le persone.
Lui mi cinse le spalle con un braccio e disse:«Siamo arrivati, Diana, sono lieto di darti il benvenuto al Campo Mezzosangue, unico posto sicuro al mondo per i semidei» disse facendo un sorriso. Camminammo oltre il pino e mi sentivo come se avessi appena attraversato una barriera.

*L'angolo della pazza*

Allora gente, questa è la mia prima FF in assoluto, spero che vi piaccia.

Se avete delle correzioni da fare, non esitate, però gradirei che le critiche siano fatte in un modo che non sia volgare, grazie.

Ci vediamo al prossimo capitolo.

P.S. La foto sopra sarebbe Diana.

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