Epilogo

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A Claudio e a Mario

Che nonostante tutto, mano nella mano, riusciranno sempre a salvarsi.



Tre anni dopo.

Erano le sette e quaranta del mattino quando, svegliato dal rumore della sveglia, Mario aprì pigramente un occhio. La spense immediatamente sbuffando sonoramente e tirando verso la sua faccia il lenzuolo coprendola del tutto. Non aveva voglia di alzarsi, non quel giorno. Era stanco e i suoi arti ancora dolevano a causa dell'allenamento eccessivo fatto in palestra la sera precedente.

Poi uno spiraglio di luce entrò nella sua camera: era estate, e lui amava quel leggero venticello caldo che scompigliava i suoi capelli corvini. Così si alzò portandosi le braccia dietro alla schiena stiracchiandole e sentendo scricchiolare qualche osso. Aprì le persiane invadendo la stanza di luce e felicità.

Si, perché anche se odiava svegliarsi presto, o semplicemente svegliarsi e basta, a Mario le mattine mettevano sempre tanta felicità: era l'inizio di un nuovo giorno, l'inizio di una nuova settimana, di una nuova vita.

Aprì lentamente la porta per non svegliare i bambini e camminò pigramente verso la cucina, tutto l'appartamento era buio e in men che non si dica fu invaso dalla luce del giorno. Aprì ogni singola persiana, spalancò la porta-finestra del salotto e abbassò la tenda dove vi era il tavolo.

Eppure non faceva così caldo, il venticello era giusto e rinfrescava la sua pelle accaldata e dolente.

Inspirò, e poi sorrise felice di essersi alzato. Restò per qualche minuto con gli occhi chiusi, sotto al sole e al venticello estivo, e sentì gli uccellini cinguettare felici attorno gli alberi. Poi tutto svanì quando la piccola Kimera, un cucciolo di bulldog francese tutto bianco e nero, gli pestò i piedi. Non l'aveva salutata, e di solito era la prima cosa che faceva al mattino.

-Piccola Kim, ti sei offesa perché papà non ti ha salutato?- disse con voce da bambino –viè qua amore- si abbassò sulle ginocchia e iniziò ad accarezzarla lasciandogli dei bacini su tutto il musetto.

Prese la ciotola dell'acqua e del cibo e la posizionò fuori in giardino così che anche lei poteva mangiare all'aria aperta.

Alzò il braccio sinistro e adocchiò l'ora: erano le sette e cinquanta e doveva iniziare a preparare la colazione e svegliare i bambini per le otto, e in dieci minuti non poteva farcela.

Abbandonò subito l'idea di fumare una sigaretta di prima mattina, stava cercando invano di non fumare, anche se alcune volte cedeva alla tentazione. Forse per nervosismo o semplicemente per abitudine. Ma da quando aveva ridotto i pacchetti la sua vita era come nuova, come se fosse rinato.

Tornò in cucina, accese la radio e iniziò a tirare fuori la qualunque: in un piattino mise della frutta fresca tra pesche, banane, anguria, melone, ciliegie e albicocche, la frutta che più amava. La musica riempiva l'abitacolo e Mario iniziò a canticchiare e muovere distrattamente le spalle in un ballo strano. Iniziò ad imbandire il tavolo con tutto il cibo che quella casa gli offriva: latte, frutta, marmellata, succhi d'arancia, centrifughe di verdura e frutta (quelle erano più che altro per lui), yogurt, panini, nutella e chi più ne ha più ne metta.

Amava imbandire la tavola, pur sapendo che i suoi figli avrebbero mangiato una tazza di latte con i cereali, qualche frutta a caso e un sorso della spremuta all'arancia, ma sapeva anche che tutti quei colori facevano bene a loro e li rendevano più felici. Avrebbe fatto il doppio lavoro, nel imbandire e poi sparecchiare la tavola, ma l'avrebbe fatto con piacere se sui volti dei suoi figli ci sarebbe stato quel sorriso genuino e spontaneo di sempre.

Sette anni.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora