Symbolic Prelude: the Dawn of War, the Twilight of Reason...

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Nella valle oscura e nell'era buia
Io sarò la Luce...

I nembi erano del colore del fumo, vasti più dei continenti che giacevano al di sotto del loro pascolare, grigi e densi, lividi e neri.

Tremavano per gli scoppi che parevano come dei presunti fuggiaschi intenti a scappare da una prigione, cercare di rompere la loro rete, arrivare al vuoto. 

Scappavano da una crosta bruciata anelando alla libera morte che attendeva nello spietato, cianotico gelo dello spazio.

Ampie, grandissime aureole di luce termo-nucleare ascendevano, chilometriche già dopo pochi istanti dopo la loro nascita; erano gli aborti partoriti dalle armi dei Figli degli Antichi e la loro crescita, assordante e muta, regalava alla tempesta che infuriava uno spettro di colori abbaglianti, incandescenti più del metallo liquido colante in fornace.
Tinte coronate dal fuoco e dal fumo.

Dall'alto dell'orbita sembravano soltanto tanti piccoli, cancerogeni funghi. Crescevano sulle carni martoriate di un corpo già marcescente, un cadavere di pianeta che era stato spedito all'inferno ancora una volta. Le esplosioni non elevavano alcun vero rumore, nemmeno uno che potesse venire detto soffuso.

Graduali espansioni, ampie e dal diadema vasto ed in forma roboante, avvenivano in silenzio annunciando le stragi che rappresentavano.
Ognuna di quelle esplosioni? Un mare d'anime alle quali era appena stata concessa la pietà di una morte rapida, agonica solo per un mero istante. 

Non avrebbero vissuto abbastanza da soffrire le guerre, le carestie, i dolori e le sofferenze delle guerre e dei tempi a venire.

In tempi di dubbi e quesiti
Io sarò il cieco timorato, fedele e
sempiterno pio...

Al di sotto delle nubi cineree le elevatissime spire delle massicce, barocche torri di babele erano ridotte a torce dal sospiro fumoso. 

Ardevano copiosamente, le loro fiamme sfrigolanti come oli bollenti, scoccando infinite lame di luce sulle moltitudini in guerra attorno a loro. Uomini e Xenos si scannavano all'altezza dei loro pendii, collettivamente disinteressati del semplice, disarmante fatto che quel pianeta non aveva nulla di valore da possedere.

Non v'era alcuna ragione per contenderselo. Sperperarvi vite sopra non prometteva alcun guadagno. Ciò non era importante. Non stavano combattendo tra loro, schiacciando i propri morti a ranghi gli uni sugli altri, per qualcosa di tanto triviale.

Si macellavano perché così s'era fatto, così era il fatto in compimento e così si sarebbe fatto nel futuro. 

Non v'erano vincitori, lì, né interessi più alti dell'uccidere e fare agli altri prima che si ricevesse l'azione e la morte dal nemico.

Quello era il volto del tempo.
Numerose come fili d'erba, legate tra di loro da un'intrecciata miriade di passaggi super-stradali e ferrovie sospese, le torri erano spazzate con continuità dalle onde d'urto propagate dalle grandi deflagrazioni. 

Al tempo stesso erano fittamente, disgustosamente popolate dal brillare di mille rigurgitanti colonne di formiche guerriere.

Innanzi all'ingresso di un tempio, il suo panorama circostante niente di più od altro che un vasto e largo disco di metallo carbonizzato toccato da venti doppie corsie stradali vaste come ventri fluviali, gli occhi ciechi e spalancati di una statua del Dio-Imperatore del Genere Umano considerava il succedersi delle catastrofi e l'evolvere, furioso e malato, dello scontro.

Lui guardava senza vedere.
Vedeva senza guardare.

L'enorme asta di bandiera che Egli reggeva con la mano destra allungava, nel cielo nero alto sopra le torri, un lacero quadrato di tessuti stracciati, sperdenti grani di cenere. Nella sinistra, invece, brandiva una spada dorata, integralmente avvolta da fiamme, puntata verso il basso.

Band of Heroes Saga: the Aurelian CrusadeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora