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Quel giorno passò velocemente.
Sistemai i miei bagagli, controllai i diversi corsi e mi procurai i libri necessari nella biblioteca del college.
Non vidi quella ragazza per il resto della giornata e il fatto che fosse così antipatica mi dispiacque poiché confidavo in lei per illustrarmi le basi di quella scuola.
Però quando tornai dalla biblioteca quel pomeriggio, trovai niente di meno che un'enorme macchia di caffè sul mio piumone. Era ovviamente stata la ma coinquilina. Nessuno altro aveva le chiavi della nostra stanza e in più in quel luogo conoscevo solo lei.
Così, sbuffando, mi recai di nuovo in segreteria chiedendo dove si trovasse la lavanderia. Purtroppo la signora mi rispose che ormai a quell'ora era chiusa, ma potevo provare a trovare qualcosa per pulire la macchia nelle cucine. Non ebbi problemi nel trovarle dato che ci avevo pranzato poche ore prima.
Erano ancora buie, probabilmente era presto per iniziare a cucinare. Tutto era rigorosamente in ferro ed acciaio. Mi diressi sotto al lavabo, dove avrei potuto trovare uno smacchiatore o cose del genere.
«Se cerchi qualche dolce o roba simile, prova a spostare il secchio della spazzatura lì sotto.»
Avevo la testa infilata nel mobiletto, così appena sentii quella voce cercai di sfilarla velocemente.
«Io in realtà stavo cercando uno smacchiatore...» Mormorai, fissando il ragazzo davanti a me. Era seduto sul tavolo d'acciaio al centro della cucina, teneva in mano una busta. Mi fissava anche lui, gli occhi verdi si spostavano velocemente dalla mia testa ai miei piedi.
Prima di rispondermi, si passò una mano fra i ricci.
«Prova lassù.» Mi indicò una mensola sopra al gas. Alzai la testa e li trovai tutti lì, in ordine.
«Che idiota.» Mormorai tra me e me, portandomi una mano sulla fronte.
Sentii il ragazzo ridacchiare.
Stavo per girarmi volendolo ringraziare, ma quando lo feci non c'era più. Guardai bene ovunque, ma di lui nessuna traccia.
Un po' sorpresa me ne ritornai in camera mia. Una volta arrivata pulii alla meno peggio il piumone e lo misi ad asciugare. Speravo solo che avrei potuto utilizzarlo per quella notte.
Presi a disfare la valigia, ponendo vestiti e scarpe nell'armadio, libri sulla scrivania e varie cianfrusaglie in giro per la stanza. Una volta finito, guardai il tutto, realizzando poi di essere soddisfatta del mio lavoro. Proprio quando stavo per riposarmi, la porta si aprì con uno scatto e vidi la mia coinquilina entrare nella stanza. In quel momento realizzai che non avevo idea di quale fosse il suo nome, così, dopo essermi seduta sul letto (ovviamente senza piumone sopra) incrocia le braccia sotto il seno e le sorrisi falsamente.
«Ehi, stavo pensando che non mi hai ancora detto il tuo nome.» Le dissi, inclinando la testa da un lato.
Chiuse la porta per poi guardarmi infastidita.
«Mi chiamo Charlotte.» Borbottò mentre poggiava la borsa sul suo letto e frugava all'interno di essa.
«Che bello quel piumone, chissà perché io non ne ho uno.» Lasciai trasparire un po' di amarezza nelle ultime parole, continuando a guardarla.
«Non l'ho fatto a posta, stavo bevendo del caffè e mi è scivolato: tutto qui. Ora se vuoi andare a fare la spia, la porta è da quella parte.» Mi indicò la porta, mentre prese il telefono dalla borsa e si sedette sul letto.
«No.» Dissi tranquillamente. Quando vidi il suo sguardo sbalordito posato su di me, continuai :«Peggiorerebbe solo la pessima opinione che hai di me e non ci tengo: tutto qui.» Dissi imitandola, facendo spallucce.
«Mh, allora non sei così male.» Ghignai, accavallando le gambe. «E dimmi, Glass, perché vuoi che la mia opinione su di cambi?»
Alzai gli occhi al cielo. La riposta a quella domanda mi sembrava così ovvia, che ero tentata a non risponderle.
«Perché dobbiamo convivere per un anno.» Sentenziai, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Charlotte annuì ed ebbi la sensazione che quella fu la prima volta in cui andammo d'accordo.
«Bene, a cena ti faccio conoscere i miei amici. Ti piaceranno.» Mi fa un occhiolino e sparisce in bagno.
Mi balenò in testa l'idea di chiederle se conoscesse o meno quel ragazzo che avevo visto nelle cucine, ma evitai. Così mi trovai a sperare che fosse tra i suoi amici. Avevo voglia di vederlo di nuovo.
Aspettai con ansia l'ora della cena, tra un pensiero e l'altro. Controllai il telefono una ventina di volte, ma nessuna traccia di telefonate da parte della mia famiglia.
«Pronta?» Mi chiese Charlotte, dopo essere uscita dal bagno, un forte odore di albicocca invase la stanza.
Annui, per poi alzarmi dal letto. Afferrai il telefono, lo sistemai nella tasca dei miei jeans e seguii Charlotte fino all'ascensore, la quale spinse il bottone per chiamarlo.
«Charlotte?» La chiamai, mentre inclinavo la testa e la guardavo.
«Mh?» Si girò verso di me, alzando un sopracciglio.
«Posso chiamarti Lottie?»
«Certo, anche mio fratello mi chiama così.»
Entrammo nell'ascensore, accompagnate da un elogio a "Cristo Signore" da parte di Charl... Lottie.

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