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Arrivammo velocemente alla mensa.
Appena vidi le porte di metallo, l'immagine di quel ragazzo balenò di nuovo nella mia mente. Scossi subito la testa scacciando via i pensieri, anche perché Lottie si stava sbracciando per attirare la mia attenzione.
«Eccomi, eccomi.» Borbottai a testa bassa, mentre camminavo velocemente verso l'interno della mensa.
«Ecco i miei amici!» Esclamò la mora accanto a me, afferrò il mio polso e mi strattonò davanti ad un tavolo, già occupato da quattro persone.
Rimasi delusa, quando li scrutai tutti attentamente ma nessuno sembrava essere il ragazzo delle cucine.
Sorrisi gentilmente a tutti, mentre Lottie mi presentava.
«Lui è mio fratello, Louis.» Lottie mi presentò un ragazzo che si alzò subito dopo. La prima cosa che notai fu la sua modesta altezza, per il resto era davvero molto carino. Aveva gli occhi identici a quelli della sorella.
«Ciao!» Mi sorrise e porse la mano, che io strinsi prontamente mente ricambiai il saluto.
«Allora, da dove vieni, Glass?» Domandò la ragazza davanti a me. Mi aveva detto di chiamarsi Atena ed era davvero bella come una dea. I capelli biondi e gli occhi azzurri la rendevano una scandinava doc, e scoprii poi che di fatto, lo era davvero.
«Philadelphia, Pennsylvania.» Affermai, fiera della mia città. «Invece tu?» Le chiesi, per poi addentare un pezzo della mia bistecca.
«Stoccolma, Svezia.» Mi imitò, mentre anche lei mangiava, ma del salmone.
Per poco non mi strozzai. Stoccolma? La mia città. La città degli scrittori per eccellenza, da bambina sognavo di ritirare il mio premio nobel per la letteratura lì, ma ahimè, di strada avrei dovuta farne ancora.
«Amo Stoccolma.» Dissi semplicemente mentre, dopo aver finito la bistecca, lasciai forchetta e coltello nel vassoio.
Atena sorrise orgogliosa, annusando «E a chi non piace?»
Risposi sorridendo, non sapendo che dire.
Man mano si presentarono anche gli altri due ragazzi: Carter e Eric. Erano entrambi simpatici, anche se non erano il tipo di amici che avevo sempre avuto.
Essendo cresciuta nel centro di Philadelphia, in una famiglia più che benestante, di gente tatuata e con i rasta, ne avevo vista ben poca. Ma come dico sempre: l'abito non fa il monaco. Molte persone che avevano trattato male me o la mia famiglia erano in giacca e cravatta, quindi alla fine ciò che conta è quello che hai dentro. Il resto è rilevante fino ad un certo punto.
Continuai a guardarmi intorno per il resto della serata, cercando quel ragazzo che avevo tanta voglia di vedere, ma assolutamente nessuna traccia di lui. Eppure era strano, doveva per forza cenare, no?
Sospirai e qualche minuto dopo aver conosciuto tutti, annunciai che sarei andata via poiché volevo essere pronta per il mio primo grande giorno.
Mi alzai e velocemente uscii dalla mensa, dirigendosi verso la mia stanza. Mancava solo l'ultima sigaretta della giornata e avrei potuto riposare.
Entrai in camera, afferrai il Woolrich e le Marlboro per poi dirigermi nel giardino del college. Mi piaceva fare qualche passo la sera prima di dormire.
Dopo aver camminato senza meta in giro per il giardino, mi sedetti su un muretto ed accessi una sigaretta. Tranquillamente la portai alla mia bocca e poi aspirai. Senza preoccuparmi di legarmi i capelli o di togliermi il cappotto poiché poi avrebbero puzzato di fumo: ero libera dai miei genitori. Non volevano assolutamente vedere nemmeno l'ombra del fumo, "è deplorevole", dicevano, "ragazzi del vostro rango che cedono davanti a stupidi vizi". Risi di gusto, ripensando a quei. A volte mi chiedevo, se in loro ci fosse rimasta un po' di personalità, perché a me sembravano avere un solo interesse: il parere degli altri. Io, dal canto mio, facevo tutto ciò che facevo per piacere a me stessa, nulla di più.
«Che fai, ridi da sola?»
Mi girai di scatto, spaventata da quella voce. Era lui. Le mani piantate sui fianchi, la camicia a scacchi verdone e marrone ricadeva sui jeans aderenti neri, che gli fasciavano perfettamente le gambe. Ero in paradiso?
«Forse.» Sorrisi alquanto imbarazzata, tornai a guardare dritto davanti a me, mentre aspiravo di nuovo.
Lo sentii sedersi accanto a me. Lo guardai con la coda dell'occhio: aveva il viso rivolto verso l'alto e guardava il cielo. Il suo profilo era meraviglioso.
«Allora, vuoi dirmi il tuo nome o preferisci guardami ancora per molto?» Mi chiese, alquanto divertito. Abbassai immediatamente lo sguardo, mentre sentivo le guance bruciare leggermente.
«Mi chiamo Glass.» Dissi. Aspirai l'ultimo tiro e spensi la sigaretta sul posacenere accanto al cestino dell'immondizia. «E tu?» Gli chiesi, appena preso coraggio.
«Harry.» Rispose, mentre prese a guardarmi. Mi girai anche io e ci guardammo negli occhi. Senza dire niente, si alzò e se ne andò. Lo guardai alzarsi e camminare fino alla porta del dormitorio, quando svoltò l'angolo mi guardò un'ultima volta.
Non ci parlammo più per circa due mesi.

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