III

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Sono tornato a casa. Per tutto il percorso ho pensato a Sara.
E credo che quella signora non potesse essere lei. Perché, esattamente come me, lei non ha una famiglia. Ne sono certo. L'abbiamo deciso insieme quando le nostre strade si sono dovute dividere.
Decido di toglierla dai pensieri. Preferisco vivere nella solita monotonia.
Devo iniziare a preparare il pranzo. Mi rendo conto di non avere pomodori. Pazienza. Oggi sarà pasta lessa. Mangio, mi riposo per un'oretta, poi mi siedo nel balcone e odo il silenzio che a quest'ora regna sulla zona. Viene interrotto solo da qualche rara automobile. Poi verso le cinque iniziano a fare capolino i bambini e i ragazzi che si incontrano e allora, con le risate sfrenate e qualche parola che viene quasi urlata, risvegliano la vita. Poverine le persone, per lo più della mia età, che dormono ancora. Tutti i miei coetanei considerano la gioventù di oggi maleducata e viziata. Per questo io non ho grandi rapporti con loro. Perché non condivido la loro idea. Penso che la ragione per cui noi non eravamo chiacchieroni come loro non sia l'educazione. Noi probabilmente usavamo un tono di voce più basso e ci divertivamo più tranquillamente, ma il modo di pensare è lo stesso. Loro sono la speranza di un mondo che sta morendo e si fanno sentire. E penso che siano la mia pozione per vivere serenamente. Osservandoli mi rallegro, mi riempio di gioia. Oggi è diverso. Di solito guardandoli sorrido e non penso. Oggi non so se sorrido. Sono troppo impegnato a pensare per accorgermene. Probabilmente lo faccio. Rammento i bambini di stamattina. Erano troppo silenziosi. Proprio come i fanciulli di una volta. Proprio come me. E come Sara. Rifletto ancora su quella signora e voglio convincermi che non sia lei. O forse che lo sia. Vorrei cercarla e raccontarle quanto siano stati vuoti questi anni, sessantaquattro anni per la precisione. Vorrei dirle che per i primi quindici ci ho creduto. Ho creduto in lei, nella sua parola. Sarebbe dovuta tornare. Io l'ho aspettata e ho sperato che non mi dimenticasse. Poi sono passati gli anni e dalla speranza si è passati alla fiducia, al miraggio, all'illusione. Venti anni dopo, tutti mi dicevano di lasciar perdere e in verità stavo per farlo, ma il mio cuore mi ha trattenuto. Io mi fidavo di lei con tutto me stesso. Dapprima mi recavo ogni giorno alla stazione, poi ho iniziato ad andarci più raramente, infine quasi mai. Dal treno proveniente per Milano non ho mai visto scendere la sua sinuosa figura. Ne sono rimasto deluso, ferito, frustrato. Avrei dovuto imparare la lezione. E invece non l'ho fatto. Ho continuato ad illudermi per sessantaquattro anni. E ora che mi sembra di averla rivista, tutto ciò che ho passato e per cui ho sofferto pare essere scomparso, volato via con quella leggera brezza che mi accarezza i capelli. Vorrei cercarla, abbracciarla. Desidero tanto che sia lei a bussare alla mia porta, perché sono rimasto nella stessa casa in cui abitavo da giovane. Per lei. Ho condotto la mia vita in ragione di un inganno. E, in fondo, non me ne pento, o meglio, per quanto la mia mente mi dica di farlo non ce la faccio.
Non mi sono accorto di essermi mosso, ma ora sto sfogliando l'album delle foto di quando ero giovane in cerca di una in cui ci sia lei. Non ce ne saranno molte, ma qualcuna sì e la troverò. Ho bisogno di vedere i suoi occhi. Voglio scoprire se mi fanno provare la stessa bellissima sensazione di questa mattina. Spero di sì. Vedo una foto del porto e mi ricordo di quel giorno. Ero con lei ed eravamo seduti su un muretto. Non ricordo perché, ma ridevamo a crepapelle. Avevo da poco comprato quella macchina fotografica e la provammo per la prima volta insieme. Ricordo che il mio dito era poggiato sopra al suo, sopra la sua pelle candida e setosa. Era delicata e avevo paura di farle male, così quando premetti il tasto chiusi gli occhi. Al rumore emesso dalla macchina fotografica li riaprii e la vidi ridere e fremere per l'emozione mentre veniva stampata la foto.  Son momenti tanto semplici e innocenti, ma li ho portati dietro per tutta la vita.
Non trovo nessuna sua foto. Mi muovo lentamente, ma l'ansia mi fa venire l'affanno. Poi vedo due smeraldi che mi attraversano il cuore. Sì, i suoi occhi sono verdi, verdi come la speranza. Ricordo che ridevano più del suo sorriso. Li sento ridere,oggi, senza di me.


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