Capitolo 2

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I FRATELLI MOORE

AVRIL

Nonostante la sera fosse vicina, il caldo batteva ancora su tutta la proprietà del Campus. Una luce calda vicina al tramonto rifletteva sulle finestre, sui mattoni rossi degli edifici, illuminava il verde dell'erba e le palme alte di fronte al cancello d'ingresso.
In attesa dell'ora di cena mi decisi a dare un'occhiata in giro. Restai seduta a lungo sugli spalti del campo da football, osservai alcuni ra- gazzi lanciarsi la palla, altri correre in gruppo, altri ancora scambiarsi battute in prossimità della linea di fondo. Erano tutti uguali, spalle larghe, visi squadrati, pelle abbronzata e fronti sudate.
Aron era sempre stato un buon giocatore, i tre anni passati assieme mi avevano protetto da amori pericolosi, la sua famiglia mi aveva accolto, e in quel momento, lontana da lui, tutto mi sembrò più difficile.
Era stato l'amico con cui confidarmi, il fratello a cui appoggiarmi, il ragazzo da cui sentirmi amata incondizionatamente.
Aron aveva riempito i miei vuoti, gli spazi morti, i tempi difficili.
Era la prima volta in vita mia che mi trovavo a dover affrontare una nuova esperienza completamente sola. Una parte di me ne era spaventata, mi faceva sentire vulnerabile non avere nessuno su cui contare, ma allo stesso tempo percepivo il senso di libertà che provavo come una debole scintilla sul fondo del cuore, una luce flebile ma intensa, pallida ma forte. Non sapevo ancora se si sarebbe spenta lentamente o se l'Arizona, con il suo immenso cielo, l'avrebbe alimentata.
Raggiunsi la mensa alle sette in punto, la fila lunghissima di fronte al bancone divideva a metà la sala, studenti in coda al self-service stringevano vassoi vuoti in attesa del loro turno.
«Eccoti Avril!» Hudson si alzò dalla sedia per farsi notare.
Era accomodato a un tavolo assieme ad altri insegnanti. Non avevo ancora ben chiaro cosa dovessi fare, se unirmi a loro o cenare in mezzo agli studenti. Ero solo una tirocinante, una ragazza iscritta all'ultimo anno del College che aveva accettato di svolgere per sei mesi un ruolo importante.
Ero immobile con i piedi sul confine, una linea dritta che separava ciò che ero e ciò che presto sarei diventata. Non stavo né da una parte, né dall'altra, ero come una giovane stella in evoluzione.
«Lei è Avril Jonson.» Hudson sembrò compiaciuto quando lo raggiunsi. «La nuova tirocinante che mi affiancherà nel corso di Astronomia questo semestre.»
Ricambiai le presentazioni con una stretta di mano e, impacciata, mi accomodai sulla prima sedia libera. Fu in quel momento che Andrew Moore entrò in mensa sul suo skate, virò accanto alla fila e scese con un salto. Spinse la punta del piede sull'asse di legno, la tavola volò nell'aria, la afferrò con destrezza per poi sistemarla sottobraccio.
Hudson gli lanciò un'occhiata severa e lui rispose con un'alzata di spalle.
Un ragazzo dal fisico atletico e la postura elegante varcò l'ingresso, la maglietta bianca metteva in risalto la pelle scura, quando gli occhi, cupi e magnetici, incrociarono quelli di Andrew si incamminò nella sua direzione a passi lenti.
«Famiglia Moore al completo.» Una voce roca pronunciò quelle parole dalla fila a due passi da loro.
Il ragazzo si voltò, arricciò l'angolo della bocca, il sorriso che gli si stampò sulle labbra sembrò tutt'altro che cordiale.
«Smith Miller» disse, come sapesse a chi rivolgersi, si avvicinò alla fila, passò accanto a Smith e con indifferenza lo colpì con una lieve spallata.
«Non sei ancora stanco di finire in presidenza, Ron?» Smith non barcollò. Una felpa dei Chicago Bears gli avvolgeva il petto, i capelli completamente rasati mostravano un tatuaggio alla base della nuca.
Ron pensai, e ricordai la conversazione a cui avevo origliato na- scosta dietro la porta della mia stanza.
Ron si fermò in mezzo alla sala, sbuffò sul ciuffo di capelli neri che ricadde sulla fronte, incassò il colpo con uno sguardo teso, l'espressione sul suo volto vibrava e spaventava.
Andrew, un passo dietro di lui, poggiò la mano sulla sua spalla e Ron parve distendere improvvisamente i muscoli in tensione, come se quel tocco gli avesse infuso la calma perduta.
«Oh, guarda che dolce il piccolo di famiglia. Tua madre non ti ha detto di stare alla larga da tuo fratello? Porta solo guai.» Smith diede una fiera gomitata al ragazzo accanto a lui, l'espressione ironica sortì l'effetto desiderato, perché Andrew si indurì, si voltò e lo raggiunse con due falcate.
«Nomina ancora una volta mia madre e ti spacco la faccia.» Puntò il dito sul suo petto. «Arriverò in fondo a questa storia Smith, e quando sarà il momento verrò a cercarti.»
Il brusio nella stanza si affievolì.

Il cielo sopra i tuoi occhi (Primo libro di #Arizona)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora