Era il 13 di novembre dello scorso anno, caro lettore, la radio della macchina trasmetteva una canzone melanconica, credo sia stata brick di Ben folds five.
Non ricordo il motivo, ma quel giorno stavo bene, ho sempre amato l'autunno, le foglie, le sciarpe rosse e i nasi freddi.
Non lo conoscevo ancora, o meglio non veramente.
Mamma mi disse qualcosa che riguardava la scuola, non l'ascoltavo ero occupato ad osservare le foglie e il cielo grigio.
Fantasticavo di scappare da quella città, dove tutti mi vedevano solo per il ragazzo triste e silenzioso quale ero.
Mi stupii quando mia madre poco prima di fermare la macchina per lasciarmi a scuola, mi diede un bacio sulla guancia. Qualche giorno prima aveva scoperto che un ragazzo più grande mi rubava la merenda, roba da medie lo so, io non ci davo peso, alla fine nemmeno pranzavo a scuola, preferivo a lui la merenda.
Mi dici sempre che sono troppo buono.
Hai tempi credevo che Lucas (questo il nome del ladro) non potesse permettersi il cibo, avevo sentito dire che non era molto agiato, e credevo che quel misero panino fosse stato il suo unico pasto, pensavo anche che eravamo amici, dato che era l'unica persona in quella scuola a rivolgermi la parola.
Un giorno però io non avevo portato il pranzo, ma lui aveva portato un pugno. Così mia madre lo venne a sapere e mi fece una scenata, io non l'ascoltavo, ma non perché ero arrabbiato o roba del genere, perché lei vede sempre tutto da un'unica prospettiva.
È parecchio triste questo.
Quel giorno sceso dall'auto, mi diressi spedito in aula, solita classe, solito posto, soliti compagni, solito prof.
Nulla di strano, nulla di nulla. Solo che quel giorno tutto mi sembrava così diverso, quasi vivo.
Rideresti di queste parole, io che trovo vita a scuola, folle vero?
Segui le ore come in orario, scrissi una poesia, e poi la gettai via perché sapeva di pensiero ammuffito.
Poi arrivò quel momento, quel maledettissimo momento in cui la mia vescica si era sovraccaricata e uscii per andare in bagno.
L'eco dei miei passi riecheggiava potente tra quelle mura grigie.
Ricordo che non sorridevo in quel momento, pensavo ancora a quella poesia, e un vuoto iniziava ad emergere dentro di me.
Entrai in bagno e ti trovai lì appollaiato al muro bianco, a fumare una sigaretta e sistemare il tuo orecchino nero.
Tu sorridevi invece. Il tuo sorriso, fu il tuo sorriso a spezzare ogni mia certezza.
Mi osservasti, sentivo i tuoi occhi puntati sul mio corpo, io non avevo il coraggio di scoprire la tua anima.
"Sei carino ragazzo"
Ed eccolo lì Jonathan Swift con la sua dolce sincerità sulle labbra, ed il suo sorriso fiero stampato sul viso.
Arrossii violentemente, e feci per uscire quando dicesti "hai mai pensato che questi cazzoni che scrivono queste robe sui muri verranno letti ogni volta che qualcuno avrà bisogno di espellere?"
Era un pensiero profondo, anche se ripeti che l'hai detto soltanto per farmi andare via.
Mi voltai, e mi avvicinai ai segni lasciati nel tempo del lontano 2009
Una scritta più di tutte mi colpii
"Mi illumino di te"
Non era firmata, e non c'era nessun altro segno. Era lì da parecchi anni, era poesia.
"Credo sia un modo per sconfiggere il tempo" dissi quasi sussurrando.
"Aspetta quindi mi stai dicendo che si può sconfiggere il tempo?""Si... ecco, si può tentare, sai con la poesia, con i segni lasciati in un wc... quelli intelligenti, è un modo per... combattere la paura dell'oblio"
Stavo per rientrare in classe, ma qualcosa mi radicava lì, ad osservare quel nero che colorava il bianco delle piastrelle, accanto al tuo cuore.
"Wow, ed io che pensavo fossero solo dei narcisisti come me" a quel punto prendesti un pennarello rosso, e me lo passasti "lascia il tuo segno biondino"
Ero parecchio imbarazzato, non so se per il biondino o per il tuo gesto amichevole, non ci conoscevamo neppure, eppure lo presi.
"Credo non sia proprio corretto..."
"Dai su biondino, facciamo che tu detti ed io scrivo?"
Annuii a quella proposta un po' infantile.
"Scrivi, il mio cuore è avvelenato"
Non so perché scelsi quella frase triste ma il tuo "posso aggiungere colpa di quella mela?"
E il tuo sorriso, Dio il tuo sorriso, vorrei riaverlo adesso; il tempo, che indicibile nemico, ma in quel bagno, siamo ancora noi due, ignari di questo futuro, ignari dei baci rubati, ignari del mondo che continuava a ruotare.
In quel bagno ci siamo noi due a scrivere con quel pennarello rosso tra miriadi di scritte nere su di un muro bianco.
Eravamo il rosso che bruciava quella normalità.
Tornammo in classe e nel tragitto mi facesti molte domande; dove abitassi, che classe frequentassi, se ero sempre stato lì, e se credevo in Dio.
Domande slegate, e confuse. Mi scuso se le mie risposte furono secche e timide. Mi scuso se provavo imbarazzo a starti accanto, tu eri bellissimo, e pieno di amici, io ero nulla che ad un tratto scopriva l'universo.
"Io mi chiamo Jonathan Swift comunque"
Lo so. Avrei voluto rispondere.
"Thomas, Thomas Jefferson" tenevo ancora lo sguardo basso.
"Jefferson? Non era un qualche presidente?"
La mia risata uscì spontanea
"E tu hai il nome di uno scrittore inglese"
Mi guardasti malissimo, ma scoppiasti a ridere imitando uno scrittore romantico.
"Non si scaldi mr. Presidente"
Ti salutai con un cenno, e mentre stavi per andare, di sfuggita, scoprii i tuoi occhi, e ne rimasi estasiato.Rosso divino,
Specchio di colori
Rifletti un animo assente,
Mi lascio attraversare
Dalla tua luce.
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Poison Heart
Dla nastolatkówJonathan Smith ha uno strano concetto di amore, si è sempre sentito libero di fare o dire qualunque cosa gli fosse capitata per la mente. Questo gli ha causato un bel po' di problemi, non solo a scuola, o in famiglia. Thomas Jefferson invece è un...