POV'S PHOEBE
Strinsi l'impugnatura dell'arco con più forza del dovuto. "Brutto figlio di..."
«Okay, Phoebe.» Il suono di due mani battute mi fece distrarre dai miei pensieri poco carini. «Direi che per oggi abbiamo concluso.»
«Cosa?!» Esclamai, abbassando l'arco e guardando spazientita la mia istruttrice. «Non è passata neanche mezz'ora.»
«Già. Ma così arrabbiata non otterrai nulla di produttivo.»
«Io non sono arrabbiata!»
Laurel, questo il suo nome, mi guardò come chi la sapeva lunga, costringendomi ad emettere un profondo sospiro.
Lasciai andare l'arco e le frecce sul tappetino, dopo aver tolto la dragona e la patella, e mi sedetti con uno sbuffo.
«Perché non mi dici cosa succede? Possiamo arrivare al nucleo del problema e risolverlo.»
«Ma io credevo che tu fossi un'istruttrice, Laurel. Non una psicologa.»
Lei sorrise. «Si, certo. Sei davvero simpatica.»
«Beh, non mi va di parlarne. Ero venuta qui per allenarmi.»
«A me sembra che tu sia venuta qui per maltrattare il tuo preziosissimo equipaggiamento e i miei bersagli.»
«Allora forse ho sbagliato lezione.» Ammisi.
Laurel rise e mi tese una mano, aiutandomi ad alzarmi. «Forse dovresti andare a prendere a pugni qualche sacco da box. O il tuo istruttore, per quel che me ne importa.»
«No.» Scossi la testa. «Non oggi, almeno. Dovrei dare spiegazioni a tutti e non ho davvero voglia di parlare, adesso. Immagino che andrò a fare una bella doccia fredda e poi andrò a dormire. Domani sarò come nuova.»
«Mi stai facendo preoccupare, handyman.» Rispose lei, corrugando la fronte. «Spero che non sia nulla di grave.»
«Oddio, piantala con quel ridicolo soprannome!»
«Perché? Ti rappresenta. Tu sei veramente una tuttofare.»
Posai con cura tutta la mia attrezzatura e misi il borsone in spalla. «È comunque un nome ridicolo. E anche imbarazzante.»
«Si, beh... hai comunque omesso la risposta alla domanda implicita più importante.»
«Stai tranquilla.» Sospirai. «Sono solo problemi di cuore.»
«Qualcosa...»
Le misi una mano davanti, bloccandola. «Ti avevo detto che non volevo parlarne. Ti ho detto più di quanto avrei dovuto fare. Ti prego ora lasciami andare.»
«Okay.» Si arrese. «La tua guardia del corpo è qui fuori?»
«Taylor non è la mia...» mi passai una mano sul viso e sbuffai. «Lascia perdere. Ci vediamo giovedì.»
«Rimettiti!» Rise lei. «La prossima volta voglio la mia handyman cazzuta, non quella depressa!»
Alzai gli occhi al cielo e, con un piccolo sorriso che non riuscivo ad avere da quasi tutta la giornata, mi diressi verso l'uscita.
Per come l'aveva definita Laurel, la mia guardia del corpo mi stava aspettando esattamente lì dove mi aveva lasciata e mi stava guardando come se mi fosse spuntato un terzo occhio, non appena salii in macchina.
«Phoebe. Come mai sei già uscita?» Chiese. «È successo qualcosa?»
«Ho solo un po' di mal di testa.» Risposi, constatando che la mia non era esattamente una bugia. «Non ce la facevo ad allenarmi.»
Taylor mi appoggiò una mano sulla fronte e disse: «Non credo che tu abbia la febbre.»
«Certo che non ho la febbre!» Lo aggredii. «Non posso avere un semplice mal di testa, ogni tanto?»
Lui rimase saggiamente in silenzio, mettendo in moto la macchina e facendomi sentire un tantino in colpa; così, mi passai entrambe le mani sui leggins felpati e, guardando fuori dal finestrino, mormorai un: «scusa. Non volevo risponderti in questo modo. È solo che oggi non è stata una delle mie giornate migliori.»
«Chissà perché, ma lo avevo notato.» Ironizzò lui. «Stai tranquilla. È tutto apposto. Posso aiutarti in qualche modo?»
«Magari potresti comprarmi una ciambella...»
Lui mi guardò un attimo, probabilmente per capire se andasse tutto bene, poi sorrise e disse: «tutto quello che vuoi, tesoro.»
•-•
Quando tornai a casa, come da copione, trovai mio fratello e Connor, uno dei suoi più cari amici, a giocare con l'xbox nel salone.
«Ciao ragazzi!»
«Ciao, Phoebe.» Risposero loro, distrattamente.
«A cosa giocate?»
«Call of Duty.»
Alzai gli occhi al cielo. «Ma non ne avete altri giochi?»
«Perché?» Chiese Teddy. «Che differenza ti farebbe?»
«Nessuna. Ma è noioso vedervi giocare sempre allo stesso gioco.»
«Veramente non c'è nessuno che ti obbliga a restare.»
«Ehi, amico! Non fare lo stronzo con tua sorella.»
«Va tutto bene, Connor» risposi io. «Ho a che fare con molti stronzi, al di fuori di mio fratello. Ma grazie per avermi difesa. Stavo andando via, comunque.»
«Phoebe...» sospirò mio fratello.
«È tutto okay, Teddy. Non me la sono presa.» Mi avviai verso la cucina. «Tornate pure a giocare.»
Esattamente come ogni sera a quell'orario, trovai Gail intenta a preparare qualcosa di sicuramente sfizioso.
«Ciao, Gail.»
Lei rispose con uno dei suoi stupendi sorrisi. «Ciao, tesoro! È andato tutto bene, oggi?»
Quasi mi misi a ridere. Trovare il proprio ragazzo a limonare con qualcun'altra nel bagno delle ragazze, era tutt'altro che 'andare bene', ma mi costrinsi comunque a sorridere e a dire: «a parte un po' di mal di testa, si. Grazie.»
Gail mi scrutò e sperai che non si comportasse come suo marito, testando se avessi la febbre. Fortunatamente disse solo: «posso fare qualcosa?»
«Vorrei solo un bicchiere di latte, per cena.» Mormorai, sperando che mio padre non fosse nei paraggi. «Non ho molta fame. E prima di tornare, Taylor mi ha comprato una ciambella.»
Lei sorrise. «Se non hai fame allora la cosa è grave.»
«Tu dici?»
«Visto e considerato che sei sempre affamata, direi proprio di sì.»
Le sorrisi di rimando, ammettendo a me stessa che Gail non aveva tutti i torti. Se pur nei limiti per evitare di diventare una balena, io amavo mangiare. Erano rarissime le volte in cui mi passava l'appetito.
«Domani avrò una fame da lupi.» Scrollai le spalle. «Potrai prepararmi tutto quello che vorrai per colazione.»
Lei mi accarezzò il viso. «Tuo padre è di sotto che si allena e tua madre credo che stia leggendo un libro. Perché non vai a salutarli e poi a riposarti? Tra un po' ti salgo il latte in camera tua.»
«Non c'è bisogno che me lo salga tu. Ho i miei piedi.»
«E sono sicura che in questo momento stanno bramando un letto.» Mi fece l'occhiolino. «Dai, vai a riposarti, Phoebe. Lasciati coccolare un po', per questa sera.»
Le diedi un veloce bacio in guancia e, prima di raggiungere papà, le dissi: «Sei la migliore!»
Raggiunsi le scale per poter scendere al seminterrato, dove papà aveva fatto costruire la palestra. Sicuramente era stato troppo impegnato per potersi allenare la mattina. Erano davvero rare le volte in cui lui si allenava la sera, ecco perché mi sembrò strano.
Quando lo raggiunsi, non mi sentì neanche, e quasi cadde dal tapis roulant quando dissi: «ciao papà. Come mai corri a quest'ora?»
Lui diminuì la velocità e, aggrottando la fronte, guardò l'orologio. «Ciao, piccola. Come mai sei già rientrata?»
«Ho un po' di mal di testa.» Spiegai, supplicando tutti gli dei che non mi portasse di corsa in ospedale. «Non riuscivo a concentrarmi.»
Il tapis roulant rallentò fino a fermarsi, consentendo così a papà di poter scendere e di potersi avvicinare a me.
«Non è che hai preso l'influenza?» Chiese, cominciando a perdere il controllo.
Era esilarante papà, ogni volta. Anche solo dopo un semplicissimo starnuto, lui era capace di far venire il dottore a casa.
«No, papà. Te lo assicuro.» Gli mostrai un sorrisetto. «Non cominciare ad impazzire. È solo che oggi è stata una giornata troppo stancate per il mio cervello. Ha bisogno di un po' di break.»
«Sei sicura? Perché posso chiamare...»
«Il 911?» Lo presi in giro. «Sono sicura di riuscire a superare la notte. Ma grazie.»
Lui prese l'asciugamano che teneva dietro il collo e se lo passò sul viso, asciugando il sudore. «Phoebe, non sto scherzando.»
«Neanch'io, papà.» Piagnucolai. «Te lo giuro. È solo un semplice mal di testa. Dopo una doccia e una bella dormita sarò come nuova. Te lo prometto.»
Lui mi baciò la fronte, ma so che lo fece solo per testare se avessi o meno la febbre. Questo mi fece alzare gli occhi al cielo.
«Hai già salutato la mamma?»
«No. Non ancora. Credo che sia di sopra a leggere.»
«Allora valla a salutare e dopo cena fili dritta a letto.»
Strinsi le labbra, per evitare di ridere. «In realtà non ho molta fame. Ho già mangiato una ciambella e Gail dopo mi porterà una tazza di latte.»
«Phoebe.» Sibilò lui, spazientito. «Se vuoi rimetterti...»
«Mi rimetterò anche così, promesso.» Gli baciai velocemente la guancia. «Vado a salutare mamma e poi vado subito a letto! Ti aspetto per la buonanotte, papino.»
•-•
Trovai mamma seduta sulla poltrona rossa, dove era solita sedersi quando voleva rilassarsi con qualche libro.
«Ciao mamma.»
Lei alzò lo sguardo, ma non mi sorrise come faceva ogni volta che tornavo da scuola. Non mi salutò neanche quando disse: «che c'è che non va?»
"Oddio, ma è così palese?"
«Phoebe?»
«Niente, mamma.» Mi avvicinai a lei. «È solo stata una giornata pesante.»
Mamma mi fece spazio nella poltrona. «E allora perché il mio radar delle bugie si è acceso?»
Risi e mi accoccolai accanto a lei. «Forse perché sei una mamma chioccia.»
Lei mi abbracciò e mi pizzicò una guancia. «Una mamma chioccia? Io?» Squittì. «Allora forse dovrei metterti in punizione per il resto del mese.»
«Oh, sì. Ti prego. Non voglio mai più uscire da questa casa.»
Lei mi accarezzò i capelli. «Dimmi cos'è successo.»
«Non è successo nulla.»
«Bugiarda.»
«Mamma...»
«Se non volevi dirmelo, avresti dovuto fingere meglio. Sei una pessima attrice.»
Mi drizzai e stizzita dissi: «guarda che io sono una fantastica attrice!»
«Per fare uno zombie o un fantasma? Si, forse.»
«Ehi!»
«Sono tua madre, Phoebe. Non mi freghi.» Disse. «E comunque fai pena a recitare, tesoro.»
Sbuffai e mi appoggiai alla poltrona. «Ti ricordi di quel ragazzo di cui ti avevo parlato?»
«Spencer?»
«Si, Spencer. Oggi l'ho trovato nel bagno delle ragazze.»
Mamma piegò la testa di lato, non capendo.
«E non era solo. Stava amorevolmente infilando la sua viscida lingua nella bocca di un'altra ragazza.»
Di sicuro mia madre non si aspettava un simile linguaggio, ma non mi rimproverò. Piuttosto, mi fece ridere quando esclamò: «che brutto bastardo!»
«Già. È un figlio di...»
«Phoebe!!»
«Che c'è?» Mi strinsi nelle spalle. «Perché tu puoi dire le brutte parole e io no?»
«Perché io sono adulta e vaccinata.»
«Beh, comunque sia, vederlo mi ha un po' scombussolato la giornata. Tutto qui.»
«Tutto qui? Tesoro, hai visto il tuo ragazzo tradirti spudoratamente con un'altra!»
«Non era il mio ragazzo!» Mi bloccai un attimo. «Insomma, non ci eravamo mai definiti in questo modo.»
«Qualsiasi cosa eravate, ti ha ferita.»
«Si, ma non preoccuparti. Non è che fosse una grande storia d'amore, la nostra.» Sospirai. «Teresa me lo aveva detto fin subito che era un idiota. Io non ho voluto darle ascolto perché... beh, anche se è un idiota, ha un bell'aspetto.»
Mamma scoppiò a ridere dinanzi a quell'espressione.
«Ho bisogno di una doccia ristoratrice e di un bel sonnellino.» Esclamai, alzandomi. «Buonanotte, mamma.»
«Non ceni con noi?»
«No. Ho chiesto a Gail solo un po' di latte.»
«Non puoi stare digiuna tutta la sera, Phoebe.»
«Ho mangiato una ciambella, prima di venire qui.» Ormai lo sapevano anche i muri. «Domani farò una bella colazione, promesso.»
«D'accordo, tesoro.» Si arrese lei. «Dormi bene.»
Mi fermai all'ingresso. «Mamma?»
«Si?»
«Per favore, non dirlo a papà.» La supplicai. «Sarebbe capace di mandarlo in galera.»
Lei rise. «Non glielo dirò, stai tranquilla.»
«Grazie. Ti adoro!»
•-•
Non esisteva nulla di più bello che una doccia fresca e risanatrice. Fin da quando ero molto piccola amavo passare ore e ore a mollo. Ricordo che, d'estate, pur di farmi uscire dalla piscina o dal mare, papà si inventò una storia: se le mie dita si raggrinzivano, diceva lui, voleva dire che dovevo uscire dall'acqua, oppure tutta la mia pelle si sarebbe raggrinzita e non sarei mai più tornata come prima. Questa storia mi terrorizzò per sette anni, ma fu efficace per evitare che io e l'acqua diventassimo una cosa sola. A otto anni però, non ci fu più scampo: decisi di fare la bambina ribelle e, anche con le dita raggrinzite, restai comunque in acqua, scoprendo con sommo piacere che al mio corpo non succedeva nulla. Ero comunque abbastanza grande da capire quanto poter stare a mollo, quindi la mia "grande scoperta" non fu un problema.
Dopo la doccia, ancora con i capelli umidi, andai a gettarmi sul letto. Poi, presi il MacBook, lo misi sulle mie gambe, lo accesi e, dopo aver messo gli occhiali, cercai qualche film con cui intrattenermi e per potermi distrarre dal cercare una vendetta da attuare contro Spencer.
«Phoebe?»
Abbassai le spalle, seccata. «Si?»
Gail aprì la porta e mi sorrise. «Ti ho portato il latte.»
Guardai il vassoio e alzai un sopracciglio. «Non mi sembra di vedere solo il latte.»
«Ti ho portato i biscotti alla cannella che ti piacciono tanto.» Rise lei, appoggiando il tutto sul comodino accanto al letto. «Io sono sicura che riuscirai a mangiarne qualcuno.»
«Tu mi vizi troppo.»
«Non ti ci abituare. Lo faccio solo perché non ti senti bene.»
«Grazie, Gail. Tu si che sai come far ritornare l'appetito ad una ragazza.»
Lei mi baciò la fronte. «Buonanotte, biscottina.»
«Notte. Salutami Taylor e ringrazialo ancora per la ciambella.»
Mentre mi concedevo una sorsata di latte, iniziai a scorrere sulla lunga lista di film scaricati e la mia freccetta si fermò su 'Hunger Games', come sempre. Vidi quel film per la prima volta a nove anni. A quella età, invece di innamorarmi, come tutti gli altri bambini del pianeta, al magico mondo di Harry Potter (cosa che poi successe subito dopo, eh!), io mi innamorai al "magico" mondo di Hunger Games. Inutile spiegarvi perché oggi mi alleno con arco e frecce. Non fu neanche tanto difficile convincere i miei genitori del fatto che volessi diventare come la mia beniamina: Katniss Everdeen. Certo, oggi non faccio nemmeno lontanamente ciò che lei ha fatto, ma il tiro con l'arco ormai è diventata una parte di me. Non mi sono mai pentita di aver intrapreso questa strada e ne mai lo farò.
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Cinquanta sfumature di grigio: la seconda generazione
FanficLa storia di Christian e Anastasia, ormai la conoscono tutti. Eppure, nessuno conosce quella che è stata la vita dei loro due figli: Theodore e Phoebe. I nostri beniamini riusciranno a dar loro una vita tutta rose e fiori? E se la "piccola" Phoebe...