Capitolo 3 - Un altro segnale

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Un altro segnale

Quest'ultimo era il quarto ragazzo assassinato nel giro di due anni.

La modalità era sempre la stessa, l'omicida sceglieva le sue giovani vittime, probabilmente le controllava per diverso tempo e, ad un certo punto, le coglieva di sorpresa, alle spalle, strangolandole con una corda o qualcosa di simile.

La giovane età quindi, oltre ad un sicuro coinvolgimento nel mondo della droga erano stati alcuni degli elementi riscontrati che avevano accomunato nel tempo tutti i ragazzi assassinati ma questo in principio non fu subito chiaro.

Inizialmente, infatti, quando ci trovammo di fronte al primo omicidio pensammo che la vittima in quel caso non avesse regolato tutti i suoi conti, essendo comunque già coinvolta in un ambiente rischioso, che prima o poi, gli avrebbe arrecato più danni di quelli già creati, ma dopo il secondo omicidio, ci accorgemmo che qualcosa non quadrava.

I regolamenti che solitamente caratterizzavano quegli ambienti, in effetti, non avvenivano secondo le suddette modalità.

Con il passare del tempo quindi, le nostre convinzioni cambiarono e presero un'unica direzione.

La ripetitività nella scelta del soggetto da colpire, l'oggetto utilizzato per compiere l'omicidio ed il modo attraverso cui il corpo veniva abbandonato, ovvero gettato lungo le rive di un fiume come fosse uno straccio senza alcun valore, erano tutti elementi che ci avevano indotto a pensare che un serial killer, forse della zona, stesse agendo indisturbato, cercando i suoi bersagli tra i soggetti più fragili e facilmente attaccabili della società.

Spesso, quando mi ritrovavo a riflettere sui casi in questione, ripensavo alle osservazioni di chi mi stava intorno, Benson compreso, che da sempre consideravo un amico.

Qualcuno dei miei colleghi il più delle volte aveva esternato con superficialità, per questo individuo, solo opinioni positive.

La loro teoria riguardava il fatto che l'omicida in questione stesse eliminando soggetti deboli e quindi inutili.

Quegli stessi individui che più avanti avrebbero dato ben poco alla società e nulla alla loro squallida vita.

Io al contrario non la pensavo in questo modo.

Ognuno di quei ragazzi in fondo era già stato vittima del sistema e reagiva come poteva aggrappandosi a false illusioni donate da un briciolo di speranza pagata per giunta a caro prezzo.

Non era compito nostro giudicare gli altri e non era questo ovviamente, il modo più adatto per affrontare dei disagi adolescenziali. Al contrario, ricercavo alcune delle colpe nella stessa società che aveva prima indotto quei giovani ad estraniarsi da un contesto famigliare probabilmente già fragile di suo, e successivamente, li aveva privati di ogni possibilità, per potersi rialzare dignitosamente ed entrare a far parte del mondo degli adulti, ancora più duro e spietato di quello che mai si sarebbero immaginati. Le possibilità erano scarse in partenza e chi ragionava così cinicamente andava solamente ad avallare pregiudizi poco utili, soprattutto nell'ambito lavorativo, perché falsavano a prescindere, la visione obiettiva della realtà e quindi dei fatti accaduti.

Inoltre non si trattava solo di opinioni personali, poiché lavorando come agente della omicidi, per esperienza, potevo affermare che questi erano aspetti appartenenti alla vita reale e purtroppo i soggetti considerati deboli rappresentavano ormai una percentuale elevata rispetto alla parte sana della società.

Essendo questo un dato che non poteva essere sottovalutato, come tanti, mi ponevo molte domande, escludendo infine quelle giustificazioni, che mi avrebbero condotto a conclusioni affrettate e semplicistiche, come il fatto di credere che l'origine di quei disagi adolescenziali, fosse da ricercare in casi singoli e sfortunati.

Al contrario, infatti, ero fermamente convinto che qualcosa di più consistente fosse riuscito a prevalere su un numero considerevole di giovani.

Una sorta di male quindi, che si era insinuato grazie a disagi comuni più o meno percepibili, tipici di quell'età.

Una realtà parallela che lentamente in maniera subdola era riuscita ad imporsi senza nemmeno troppa fatica, creando danni spesso irreversibili.

Insomma, per alcuni erano solo fatti isolati, per me era qualcosa di più pericoloso, che andava scovato e contrastato con tutti i mezzi a disposizione.

Purtroppo però ero uno dei pochi a ragionare in questi termini, il più delle volte, infatti, gli altri si fermavano alle apparenze.

Indipendentemente da ciò, tutti noi attraverso il nostro lavoro, quotidianamente dovevamo assistere come testimoni scomodi ed agire, per poter assicurare il capro espiatorio della situazione a quella stessa legge che puntualmente, per un qualsiasi cavillo, lo avrebbe prima giudicato e poi rimesso in circolazione, aumentando quindi lo sconforto tra quei pochi che ancora riponevano fiducia nel sistema.

E nel frattempo, le vere vittime restavano a disposizione della società, che generosamente elargiva loro ciò che chiedevano.

Per fortuna la mia tenacia nonostante il mio vissuto mi aveva da sempre sostenuto, permettendomi in questo modo di non farmi influenzare e di continuare per la mia strada.

Un'utopia forse che avrebbe messo fine nel mio piccolo a quella piaga, rappresentata dalla delinquenza che giorno dopo giorno, da troppo tempo, si era infiltrata tra i più giovani privandoli di tutto: soldi, dignità e libertà di pensiero, fino ad arrivare nei casi più estremi alla vita.

L'essenza del male | Lorenza SpaiardiWhere stories live. Discover now