Capitolo due

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[Allora, dato che Cassie è muta, e di certo non posso farla scrivere sempre su dei fogli, ho deciso che quando lei parla attraverso il linguaggio dei segni le parole che corrispondono ai gesti verranno delimitate da ""]

Seth's pov
«Ehi amico, sai perché tutti stanno ridendo?» chiedo ad un ragazzo vicino a me «oh, in pratica il professor Tunner sta urlando contro a Cassie, quella muta, chiedendole perché non risponde ai richiami» dice e ride leggermente rigirandosi verso la scena.
«Bro, fallo smettere» mi sussurra Scott all'orecchio «non posso» dico a denti stretti, così continuo a guardarla, mentre a testa bassa si subisce la sfuriata, finché non arriva quella che si dice essere la sua nuova e unica amica «mi scusi, ma vorrei informarla che Cassie è muta» dice al professore che si zittisce all'istante, diventando paonazzo, guarda gli studenti attorno a sé e poi se ne va senza dire nulla. Lei rimane lì, tra le braccia dell'amica che la trascina via dal campanello di gente.
«Che razza di idiota» dice Will «non sapeva nemmeno che fosse muta» continua «devo dire che è molto meglio quando la umiliate voi» ride una ragazza bionda passandoci a fianco, abbasso lo sguardo e non dico niente, forse ha ragione. Ma non è meglio, è peggio.

Cassie's pov
Dopo il casino successo con quel prof Hanna ha deciso di andare via da scuola, almeno per oggi, così una volta raccattate le nostre cose siamo andate a casa mia.
Ora siamo in camera mia e lei sta curiosando per tutta la stanza.
«Cass, che cos'è questo?» dice Hanna mentre tira fuori il quaderno nero dal mio zaino, mi alzo prendendo un block-notes e una penna dalla scrivania 'è il mio libro' scrivo, lei legge e lo apre «cosa sono questi?» chiede 'segreti, segreti che nessuno sa' scrivo di nuovo
«perchè li scrivi?» domanda 'è un modo per riscattarmi di tutti quelli che vedono ma non fanno niente' le faccio leggere e lei annuisce 'puoi leggerli per me?' scrivo ancora e lei annuisce sorridendo.
Dopo aver letto centinaia di segreti finalmente pranziamo, poi decidiamo di andare a fare un giro al mare.

Quando Hanna mi riaccompagna a casa la saluto con un abbraccio e quasi piango dalla gioia: finalmente ho un'amica.
Vado in camera e mi butto sul letto senza cenare, mi tolgo le scarpe e mi addormento in pochi minuti.

*
Il mattino seguente, quando vedo Hanna, noto che ha delle profonde occhiaie.
Mi tocco sotto gli occhi, la indico e disegno nel vuoto un punto di domanda. «Ho guardato un documentario» dice e socchiude gli occhi, "ti voglio bene" dice nel linguaggio dei segni e sorride felice, io, dal canto mio, inizio a piangere e l'abbraccio di slancio. Se potessi urlare, le direi quanto io le voglia già bene.
Contro voglia, quando la campanella suona ci separiamo e andiamo nelle rispettive classi.
Onestamente, penso che Hanna sia l'unica persona al di fuori della mia famiglia che sa il linguaggio dei segni, o comunque che lo abbia imparato appositamente per me.

Come sempre, la professoressa Lichwood, di matematica, porta degli occhiali dalla montatura spessa, che le rimpiccioliscono gli occhi, facendola sembrare una talpa. Deve avere più o meno sessanta anni, forse di più. Ogni volta che spiega inizia a fare su e giù per la classe inciampando in qualsiasi cosa e vorrei davvero riderle in faccia quando poi minaccia i miei compagni di non ridere o, testuali parole, "verrete tutti bocciati capre che non siete altro!". Al contrario di tutti gli adolescenti io amo la matematica ma non fraintendetemi, non sono una nerd, il fatto é che trovo molto affascinante il modo in cui dei semplici numeri possano risolvere così tanti problemi.

Fortunatamente le prime tre ore passano abbastanza velocemente e ringraziando Dio esco dall'aula per poi piazzarmi davanti a quella di Hanna.
Quando esce, la prendo per mano e la trascino verso le scale, salgo e poi mi immetto nel corridoio, mi faccio largo tra la gente e poi giro in un corridoio secondario, vado verso una scaletta e dopo averla salita apro la porta che mi trovo davanti.
Proprio come pensavo, Hanna rimane a bocca aperta e sorrido soddisfatta "benvenuta nel mio posto segreto" gesticolo e lei sorride.
Da qui, ovvero sul tetto della scuola, si vede il centro di Miami e il mare azzurrino, non troppo lontano.
Mi siedo sul bordo e picchietto la mano al mio fianco, facendo segno a Hanna di sedersi vicino a me.
Restiamo lì per circa un'ora e un quarto, saltando una lezione, in silenzio. Io ho la testa appoggiata alla sua spalle ed entrambe guardiamo dritto davanti a noi.
Mi sento così fortunata di averla incontrata, la mia prima amica. In diciassette anni non mi sono mai sentita felice come in questo momento. I silenzi a volte valgono ben più di mille parole, io lo so bene. A volte Wes veniva nella mia stanza e mi abbracciava, stavamo stretti per ore senza dire niente, forse erano i nostri cuori a parlare, perchè nonostante non dicesse nulla io capivo tutto ció che la sua bocca non faceva uscire fuori.
Ho sempre amato la connessione che c'era e c'è tutt'ora con mio fratello.
Con tutta onestà, la sento anche con Hanna.
Prima dell'inizio della quinta ora andammo verso le nostre classi e aspettammo con pazienza che la campanella suonasse.

A metà della quinta ora, avevo un assoluto bisogno di fare pipì. Se la mia vescica potesse piangere scommetto che in questo momento lo starebbe facendo.
È un vero peccato che nessuno possa sentire il mio umorismo, penso seriamente che potrei fare la comica.
Chiesi il permesso alla professoressa e dopo che mi diede una risposta positiva uscii velocemente dall'aula.
Entrai in bagno e vidi uscire da uno dei cubicoli Seth, indietreggiai e lui si voltó verso di me iniziando a fissarmi e a sorridere in modo sghembo. Dal suo stesso cubicolo uscì Piper, la seguace di Laura e saltelló verso di lui, che distolse lo sguardo da me «allora ci vediamo dopo tesoro» parló lei con voce dannatamente acuta, tanto che mi portai una mano all'orecchio e approfittando della sua distrazione mi chiusi dentro ad un cubicolo.
La pipì mi era passata e imprecai mentalmente proprio mentre la porta del bagno veniva aperta e successivamente riuchiusa. Sospirai e uscii convinta che se ne fosse andato, ma, come sempre, la fortuna non era dalla mia parte. Lui era lì, seduto sul lavandino con le braccia incrociate e mi guardava divertito, per la prima volta non ebbi paura di lui e iniziai a guardarlo male, alzó un sopracciglio divertito e saltó giù dal lavandino.
«Attenta a quello che fai Cassie Hunton» sussurrò e poi uscì dal bagno.
Gesticolai un "vaffanculo" verso la porta ormai chiusa e uscii velocemente dal bagno.
Tornai in classe e dieci minuti dopo la campanella suonó.
Per tutti il giorno non feci altro che pensare a quelle dannate parole e maledissi qui tre in alleno mille modi diversi nella mia testa.

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