Bisognava essere parecchio sfortunati per crescere in un posto come Bryen, una città piccola, antiquata e quasi fuori dal mondo. Sorgeva al limitare di uno sparuto boschetto, a un'ottantina di chilometri da Jasper, e, dal giorno della fondazione, era stata intaccata solo superficialmente dai mutamenti della modernità; certo, l'ospedale era provvisto di strutture sanitarie adeguate, la strada principale e le stradine ad essa collegate venivano regolarmente controllate e asfaltate e nessuna casa era priva di gas o elettricità, ma, come ripeteva spesso zio Andy, le persone danno volto al luogo che abitano e la mentalità di quel volto, formato da poco più di mille abitanti, era rimasta decisamente invariata e ottusa.
Per quasi due secoli la gente di Bryen pareva aver vissuto dentro una bolla di vetro, completamente isolata dal resto del Canada: aveva accettato passivamente i cambiamenti del progresso materiale, ma mai scordato i principi della Caccia alle Streghe, della discriminazione e dell'odio verso tutto ciò che non si adattava ai rigidi schemi della società, tutto ciò che era "diverso".
Forse anche per questo motivo la clinica psichiatrica della dottoressa Calvert era situata quasi in periferia rispetto al centro urbano: le persone "normali" preferivano prendere il più possibile le distanze dai matti e dai mostri.
Emily era rimasta in silenzio per tutta la durata del viaggio, giocherellando con i lembi della benda bianca che celava la ferita al polpaccio. Mettere piede in quel posto rappresentava per lei un'autentica forma di tortura: ogni sguardo folle incrociato lungo i corridoi, ogni graffio sul muro, ogni finestra riparata le ricordavano costantemente una realtà che aveva evitato per un semplice colpo di fortuna.
Tom arrestò l'auto nel modesto parcheggio dell'edificio, voltandosi con un sorriso di comprensione verso i figli accomodati sui sedili posteriori: - Destinazione raggiunta.
- Io resto in macchina – stabilì Alex, rannicchiandosi su sé stessa. – Farò meno danni qui.
Si era avvolta come al solito una leggera sciarpa nera attorno alla testa, lasciando scoperto soltanto un sottile spiraglio per gli occhi.
Attese che l'intera famiglia si allontanasse dal parcheggio per cominciare a sbirciare fuori dal finestrino: dalla sua postazione poteva scorgere un pezzo di giardino dove i pazienti meno problematici erano soliti passeggiare in compagnia di infermieri e volontari.
Quando era bambina si arrampicava spesso sugli alberi o coglieva dei fiori mentre attendeva pazientemente che la dottoressa congedasse Emily, poi, un giorno, la sciarpa le era scivolata dal viso, provocando svariate reazioni tra gli abitanti della clinica. Da allora aveva preso l'abitudine di aspettare in auto.
Armeggiò distrattamente con la maniglia interna della portiera, indecisa se far scattare il meccanismo e aprirsi un piccolo spiraglio, quando un paio di colpi provenienti dal posteriore del mezzo la fecero sobbalzare. Alex si acquattò d'istinto sul sedile, tendendo le orecchie. Dall'esterno provenivano dei flebili rumori sospetti, pareva che qualcuno stesse strisciando i piedi sul cemento del parcheggio.
Con fare circospetto, la Ragazza Lupo alzò appena la testa, provando a dare una sbirciata: all'improvviso, un piccolo volto tondo e femminile comparve all'interno del suo campo visivo, provocandole un secondo singulto.
- Buh!
La quindicenne spalancò involontariamente la bocca, assumendo un'espressione confusa e intontita; conosceva la persona a cui apparteneva quel bel visino ridente, incorniciato da folti riccioli biondo grano. Dimostrava circa la sua età, le iridi dei suoi enormi occhioni dalle lunghe ciglia erano tinte di un bel colore a metà tra l'azzurro e il verde, le sue guance erano piene e rosate e il suo nasino a patata era puntellato di lentiggini.
Alex si schiarì la voce, cominciando a giocherellare con un lembo della propria sciarpa e pentendosi amaramente di non essersi limata le unghie quella mattina.
- Ciao, Lottie.
Charlotte Murray era l'eccentrica figlia della dottoressa Calvert, una quindicenne dai modi artistici, espansivi e quasi pittoreschi: si vestiva in modo singolare, amava i brillantini in modo ossessivo e sognava di diventare una grande attrice teatrale.
Per una misteriosa ragione, sembrava particolarmente desiderosa di fare amicizia con la ragazza lupo, desiderio manifestato fin dalle prime visite della famiglia Donovan all'ospedale psichiatrico.
- Devo pregarti come al solito o questa volta mi farai risparmiare fiato?
Alex si lasciò sfuggire un piccolo sorriso, poi aprì lentamente la portiera, permettendo alla bionda di affacciarsi verso l'interno: - Non scendo, Lottie. Al massimo puoi entrare e sederti accanto a me lasciando la porta aperta.
- Niente auto sigillata? Facciamo progressi! – osservò ironica l'altra, accomodandosi. – Prima o poi riuscirò a farti uscire, vedrai.
- Ne dubito fortemente – replicò Alex, fissandosi distrattamente la punta delle scarpe.
Quel giorno, Charlotte indossava una t-shirt bianca con il disegno di un unicorno, pantaloncini in jeans con due cuori ricamati sulle tasche posteriori, un paio di ballerine glitterate, calze a righe rosa e azzurre ed una fila di braccialetti in plastica che parevano formare piccoli arcobaleni sui suoi polsi. In cima ai boccoli dorati svettava un grande fermaglio a forma di farfalla.
Si era anche truccata le palpebre con dell'ombretto azzurro ed emanava il suo solito delizioso profumo fruttato.
- Allora – disse, rompendo il silenzio imbarazzante che si stava creando. – Siete venuti qui con poco preavviso stavolta. Emily è peggiorata?
- Diciamo che ci siamo presi un bello spavento ieri notte – spiegò la Ragazza Lupo, ignorando il fastidioso nodo alla gola che le si formava sempre in presenza della giovane Murray. – È iniziato tutto all'ora di cena, quando Johnny ci ha fatto conoscere i genitori di Lory. Due emeriti idioti... – puntualizzò, facendo sfuggire all'altra una risatina. – Davvero, preferirei spararmi in bocca piuttosto che avere di nuovo a che fare con loro.
- Sono davvero così insopportabili? – domandò la biondina con aria divertita.
- Immagina un tricheco in smoking e uno struzzo stridulo che cercano di atteggiarsi a persone raffinate. Aggiungi una buona dose di ignoranza, complessi di inferiorità e pregiudizi e otterrai i Peters.
Il risolino della coetanea fece guizzare un piccolo sorriso sulle labbra di Alex. In qualche modo si sentiva sempre appagata dalle reazioni positive di Lottie.
- Comunque, non sono stati loro il vero problema – proseguì. – Johnny e Loreine hanno organizzato la cena per dare un annuncio, ossia... beh, aspettano un bambino.
- Veramente?
Gli occhi di Charlotte brillarono per l'emozione: - Alex, diventerai zia?
- Già... - la quindicenne si morse il labbro. – A quanto pare...
- E non sei felice?
Alex sospirò, prendendosi qualche secondo per riflettere sulla risposta. Non aveva ancora avuto abbastanza tempo per decidere come sentirsi riguardo alla gravidanza della futura cognata.
- Non lo so - rispose infine. – Voglio dire... e se mio nipote, o mia nipote, fosse come...
- Te? – proseguì Lottie, sfiorando delicatamente i lembi della sciarpa che celava il volto dell'amica.
La piccola Donovan annuì debolmente: - Come me. Come Em. Come mia madre e i suoi fratelli... la Maledizione dei Milton è un carattere genetico dominante e... beh, insomma, è facile che succeda.
- Suppongo quindi che anche Em non l'abbia presa bene...
Alex sospirò: - Non so come l'abbia presa Em, non ne abbiamo parlato. In compenso, la personalità di nostra madre l'ha presa malissimo. Ieri me la sono trovata in camera con un coltello in mano, era impazzita. Si è quasi pugnalata da sola, così mi sono gettata addosso a lei per fermarla e, cadendo, si è praticamente piantata la lama nel polpaccio... ah, ehm... naturalmente non racconterai questa cosa a nessuno, vero?
- Certo che no! – esclamò l'altra quasi offesa, afferrando una mano artigliata della castana. – Alex, non ho nessun motivo per raccontare i fatti vostri in giro.
- Lo so, scusami... - balbettò l'altra, arrossendo da dietro la sciarpa. –Non... non sono abituata a parlare di queste cose al di fuori dell'ambiente famigliare.
"Non sono abituata a parlare al di fuori dell'ambiente famigliare e basta" pensò tra sé, mentre le dita di Charlotte scivolavano lentamente via dalle sue. Non seppe se sentirsi dispiaciuta o sollevata per l'interruzione di quel contatto quasi intimo e inaspettato.
La bionda sorrise con fare comprensivo, poi assunse un'espressione interrogativa: - Non so se posso chiedere ma... come mai tua madre, o meglio, la sua personalità ha dato di matto dopo aver saputo della gravidanza di Loreine?
- A parte il fatto che è matta a tutti gli effetti e pure classista da far schifo?
Sputò le ultime parole quasi con rabbia, tornando in sé non appena si rese conto di aver conficcato le unghie nel sedile, lasciando cinque bei buchi. Pregò che Charlotte non se ne fosse accorta.
- Io... io credo ci sia un collegamento con una cosa successa in passato a mia madre... alla mia vera madre, naturalmente, non alla personalità di Em... lei ha... lei ha fatto una cosa orribile... voglio dire, di cose orribili ne ha fatte tante, ma quella è stata davvero...
Lo stridio dei freni di biciclette interruppe il discorso della ragazza, che sussultò con fare allarmato.
Una voce giovane e maschile la portò ad accovacciarsi all'istante sul sedile: - Ehi, ma quella non è l'auto dei Donovan?
- Altro giretto al manicomio! – fece eco una seconda voce, un po' più acuta. – I mostri sono usciti dalla tana!
- Scommetto che là dentro c'è il lupo mannaro! Qualcuno ha portato una pistola e dei proiettili d'argento? Dite che la sua testa farebbe bella figura nel salotto di mio nonno?
- Ehi! Perché non ve ne andate tutti a fanculo? – gridò Charlotte, uscendo dall'auto con fare risoluto. – Io penso invece che tutte e tre le vostre teste bacate farebbero bella figura nello scarico del cesso di mio zio Reginald!
- Perché ti metti in mezzo, Murray? Quella là ti ha fatto un incantesimo? Potrebbe essere lesbica, lo sai? Non hai paura che ti metta le sue luride zampe addosso?
Lesbica.
Alex si fece piccola piccola, quasi sperando di essere inglobata dal sedile e sparire per sempre. Non aveva mai interpretato la parola "lesbica" come un insulto, eppure quel ragazzino (il suo cognome era Allen, o qualcosa di simile) la faceva suonare in modo orribile.
"Lesbica..."
Prima di allora, Alex non si era mai posta il problema della propria sessualità. Dopotutto, a cosa le sarebbe servito? Nessuno avrebbe mai voluto avere una relazione con lei, quindi perché far caso al sesso dei personaggi di libri e film per cui, talvolta, aveva provato attrazione?
Per la prima volta in vita sua, la piccola Donovan fece un riepilogo mentale delle sue cotte fittizie, soffermandosi sul loro genere.
Wendy Darling di Peter Pan. Questo valeva sia per il libro sia per il film d'animazione. Gli occhioni grandi, l'atteggiamento protettivo, dolce ma risoluto allo stesso tempo... Wendy la faceva impazzire. E cos'era, Wendy? Una femmina.
Jane Bennet, di Orgoglio e Pregiudizio. Altra figura dolce e sensibile. Femmina.
Janine Melnitz di Ghostbusters. Femmina.
Daphne di Scooby Doo. Nancy di Oliver Twist. Fantine de I Miserabili. Femmine.
E che dire delle celebrità? L'affascinante Julianne Moore, la stravagante Cyndi Lauper...
Tutte femmine.
Alex frugò con insistenza nei cassetti della memoria, ma concluse la propria ricerca con una semplice constatazione: in quindici anni, non aveva mai, mai provato attrazione per un individuo di sesso maschile, che fosse fittizio o meno.
Magnifico. Le serviva proprio regalare agli abitanti di Bryen un motivo in più per discriminarla.
Volse timidamente lo sguardo in direzione di Lottie che, con i pugni piantati sui fianchi e il mento alto, stava cacciando i tre scocciatori.
Il sospetto che talvolta aveva provato diventò all'improvviso una consapevolezza.
D'istinto, chiuse la portiera dell'auto e si raggomitolò su sé stessa. Ignorare i richiami della biondina e i suoi colpetti leggeri sul finestrino si rivelò più difficile del previsto.
- Ti prego Lottie... lasciami sola.
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Hideous
HorrorUn'antica leggenda narra che una potente strega celtica, adirata col capostipite della famiglia Milton, si vendicò scagliando un orribile sortilegio che segnò per sempre la vita dei discendenti dell'uomo: molti di essi, infatti, nacquero con pesanti...