Prologo

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La stazione gremiva di gente. Faticai per farmi largo tra la folla e giungere ai binari. La tensione era palpabile, c'era chi piangeva, altri che non smettevano di dondolarsi sui talloni, chi era in preda al panico e poi... poi c'ero io. Non riuscivo a capire come mi sentivo. Emozionata? Beh, si abbastanza. Spaventata? Si, letteralmente. Felice? Triste? Non ne avevo idea.
Il fischio del treno annunciava la partenza e mi affrettai a salire. Sentivo le mani sudate tremare mentre presentavo il biglietto al controllore.
Mentre mi incamminavo per lo stretto corridoio sentivo le gambe cedere e le narici furono subito invase dall'aspro odore di muffa.
Tossì per un paio di secondi.
Nei piccoli spicchi di luce che filtravano dai finestrini del corridoio, intravedevo i piccoli granelli di polvere fluttuare nell'aria e non potei fare a meno di paragonarmi a loro, in quel momento.
Una piccola massa informe nell'universo, vagante senza meta e senza senso.

«Posso?» domandai intimidita, indicando il posto al finestrino.
«Certo signorina» rispose l'uomo coi folti baffi, posando nuovamente lo sguardo sul libro che leggeva.
Mi guardai intorno per poi sbuffare e appoggiare la testa al finestrino.

Il treno inizió a muoversi e fu così che potei ammirare il paesaggio.
L'erba scintillava fresca sotto i caldi raggi mattutini. La brina ne rendeva i colori vivaci e scintillanti.
I campi di grano si alternavano ad immense distese di papaveri e di piccole margherite gialle sparse qua e là.
L'aperta campagna mi rasserenava da sempre. Sentivo una strana sensazione di calma e di libertà. Era come se i campi fossero il mio habitat ideale. D'altronde ero nata e cresciuta tra le bacche e le erbacce.

Assorta nei miei pensieri notai che il treno stava rallentando per fermarsi alla prima fermata in città.
Fu così che l'alternarsi di interminabili campi di grano e papaveri fu sostituito dall'alternarsi di grigi palazzi ed imponenti muri di cemento.
Più guardavo queste immagini muoversi sotto i miei occhi più mi sentivo sconsolata. Le città mettevano una tale tristezza. E non potevo certo far a meno di pensare a tutta quella povera gente di città, che poi povera non era, o almeno erano fermamente convinti di essere benestanti vivendo negli agi delle loro ricchezze e naturalmente disprezzavano la povera gente di paese come me. Considerati da sempre poveracci che praticavano i lavori più umili per un tozzo di pane. Ma io ero convinta da sempre che si sbagliavano.
Quelli poveri erano loro, rinchiusi da grigie mura di cemento come dei topi in trappola, in una facciata che loro hanno creato e che chiamavano realtà. Tutti ricchi, tutti felici e tutti d'accordo.
E così mi ritornarono in mente gli insegnamenti del mio caro nonno:
"gli uomini di città, cara Amalia, sono poveri d'animo. Il loro animo è corroso dai beni materiali a loro tanto cari. Sarebbero capaci d'uccidere il fratello pur di ottenere la parte più cospicua dell'eredità. Ricordalo e tienilo bene a mente, non fidarti mai degli uomini di città, è da loro che scaturiscono le guerre ed è colpa della loro prepotenza assetata di potere e di denaro che il mondo va a rotoli... e poi tocca a noi aggiustarlo..."
nonostante non riuscissi a capire l'ultima frase pronunciata da mio nonno, ritornai a riflettere sugli uomini di città. Non riuscivo proprio a capacitarmi, come tutta quella gente potesse ogni mattina svegliarsi nella loro lussuosa casa ed iniziare la favoletta del "tutti felici e contenti"?
E poi certo ripeterla fino alla morte, giorno per giorno. Fanno finta di nulla, restano impassibili e indifferenti quando la gente muore in questa guerra. Guerra creata da loro tra l'altro.

Continuando a guardare dal finestrino vidi ad un certo punto uno squarcio di mare. Mi sembro quasi impossibile ma poi fissai meglio, guardando dritto fuori dal finestrino del treno in corsa, si era proprio il mare quello che vedevo.
Le onde si muovevano lentamente e brillavano come piccoli diamanti che riflettevano la luce, sparsi qua e là.

Rimasi seduta lì nel mio posto con la schiena dritta ed un libro di seconda mano mantenuto dalle mani sulle ginocchia.
Mi stringevo nel mio vestitino a fiori, consapevole che la mia vita stava per cambiare.
E tra il susseguirsi di paesaggi ed il susseguirsi delle mie emozioni chiusi gli occhi e li strinsi forte, fortissimo.
Non avrei mai voluto dimenticare nulla di tutto questo. Volevo ricordare anche i dettagli più infimi di questa o viaggio.
Volevo imprimere le immagini nella mia mente.

Arrivammo a destinazione dopo non so quante ore o quanti giorni, non lo so, ero sfinita e sentivo che le forze venivano a mancarmi ma una volta scesa dal treno mi incamminai lentamente verso la fila per l'imbarco. Avrei dovuto affrontare un'altro viaggio, ma sta volta in mare. E sentivo di poter perdere le forze da un momento all'altro.

Ero una ragazzina ingenua di 14 anni e forse lo sono ancora adesso. Una ragazzina piena di vita, mandata in viaggio dalla famiglia per migliorare la sua vita.
Ero consapevole che questo viaggio avrebbe cambiato la mia vita.

Non sapevo in quale modo, ma sapevo che l'avrebbe cambiata, per sempre.

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