Capitolo 3

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"Stava seduta sul letto. Lo sguardo perso nel vuoto e la maglietta di lui stretta tra le braccia. Sentiva il suo profumo, avrebbe potuto riconoscerlo a chilometri di distanza. Le era così familiare... le parlava di "casa", di una casa che ancora una volta non esisteva più.
Ester aveva avuto già diverse "case"... ma quell'ultima, troppo tardi si era accorta che davvero le apparteneva. E che davvero di essa si sentiva parte.
"Casa" non era un luogo fisico, "casa" era un legame profondo, un affetto importante. Il riposo del cuore ed il ristoro dell'anima.
Ricordava di aver letto in un testo scritto da un monaco buddista, che in Vietnam marito e moglie usano chiamarsi reciprocamente "casa mia". Tanto che se in una particolare situazione un conoscente avesse incontrato il marito di "tizia" da solo in un qualche luogo, gli avrebbe certamente chiesto: "dov'è la tua casa?", e questi gli avrebbe prontamente risposto: "casa mia è al mercato", o ancora "casa mia è al lavoro".
Ester era rimasta molto colpita da questo linguaggio semplice. Semplice ma potente, potente al punto che riconobbe in quelle parole e per la prima volta, il vero "luogo", la precisa appartenenza ad uno stato dell'anima nel quale aveva l'esatta percezione di essersi cullata, purtroppo senza averne consapevolezza, in quegli ultimi quattro anni della sua vita, accanto ad un uomo straordinario, l'unico che probabilmente avrebbe mai accettato di starle accanto, in una situazione che così spesso rasentava il paradossale. Proprio quell'uomo gentile, quell'anima buona e grande, si rendeva conto di aver, con le proprie mancanze ed insensatezze, enormemente ferito. Ed allontanato. Stupidamente. In una maniera talmente priva di logica spiegazione, che non passava attimo nel quale non provasse l'irrefrenabile voglia di picchiare la testa contro il muro, fino a poterne scardinare pensieri e tumulti e conseguenti atteggiamenti, che ancora una volta, e come da copione, avevano reso una storia dai contorni magnifici, e reali... reali!, un ulteriore fallimento che andava a sommarsi a quelli già collezionati.
Pensava a lui, sempre quella sua maglia nera tra le mani e stretta al viso, quasi a poterne odorare la pelle stessa, e non poteva far a meno di ricordare quanto avesse lottato per conquistare il di lui amore. Quanto avesse stretto i denti e soffocato la frustrazione, attendendo che lui decidesse in cuor suo, di "sceglierla" in maniera esclusiva e definitiva.
Non riusciva a non mettere a fuoco i momenti più significativi, quei momenti in cui l'esaltazione data dalla certezza di essere arrivati in vetta, assieme, dava ad entrambi la forza di pensare ad un amore, il loro, tanto agognato e finalmente trovato. Così raro. Anzi unico.
Le lacrime avevano preso a scendere calde dai suoi occhi oramai quasi chiusi. Era stanca. Aveva esaurito ogni forza ed ogni volontà di poter riportare la sua vita a ciò che era stata e a ciò che tanto sperava avrebbe potuto ancora essere o divenire con lui accanto.
Strinse ancora più forte quella maglietta al cuore e di colpo le tornò in mente l'ultima notte che avevano trascorso insieme. Ricordò di aver appoggiato la guancia al suo petto, e di aver sentito fortissimo il battito del suo cuore, quasi martellante, si, ma ritmico e rasserenante. Tale da averle dato la certezza che non esistesse e mai sarebbe esistita altra "casa", nella quale lei avrebbe voluto "abitare".
Cullata e tormentata al tempo stesso da questo tumulto di pensieri, posò la testa sul cuscino, e respirando a fondo il suo profumo - ricordo di quell'ultima notte insieme - si lasciò andare al pianto... dando al suo amato, con un filo di voce e quasi le stesse ancora accanto, la buonanotte..."
S.P.

Le pagine della mia vitaWhere stories live. Discover now