2. Follia

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Seconda parte.

Follia.

(Tredici mesi prima)

Non ricordava un freddo simile, in quel mese, da almeno quattro o cinque anni.
Stretto dentro ad un giubbotto nero, Alec infilò le chiavi dell'auto nel taschino, tirandovi fuori un bigliettino di carta su cui Emily, la sorella maggiore, aveva scritto il suo nuovo indirizzo.
Lo guardò di sfuggita, prima di rimetterlo dentro. Nonostante fosse nata sei anni prima di lui, le continue attenzioni che la madre gli obbligava a porle stavano diventando soffocanti.
Incapace di badare a sé e alle proprie spese, Emily aveva fatto del fratello il suo personale contabile, babysitter, dogsitter, fattorino e autista.
"'Fanculo..." mormorò Alec al vuoto, memorizzando il numero 402: quarto piano, corridoio centrale, seconda stanza in fondo al corridoio -pari, lato destro.
Nel parcheggio che si lasciò alle spalle, la sua macchina tenuta in perfetto stato si mischiava a vecchi catorci che puzzavano di ruggine, piccole utilitarie tenute su alla bell'e meglio e motorini lasciati con le chiavi appese che, chissà per quale strano motivo, nessuno portava via.
Da quando Emily aveva iniziato a frequentare l'ennesimo corso spirituale e il suo guru le aveva suggerito di abbandonare ogni ricchezza per rifugiarsi nella casa dello Spirito, era passata da una villetta di periferia a una bettola in un enorme condominio nero, visibile a miglia e miglia di distanza, come una grossa montagna tetra.
Lui, con gli spaghetti a mezz'aria, l'aveva ascoltata cercando di capire quando mai avesse perso anche gli ultimi segni di lucidità; euforica, si era dichiarata disposta ad abbandonare ogni cosa, pur di ritrovare la pace interiore che i beni materiali, quelli che ci separano dal nostro spirito, avevano oscurato. Il tutto si era fatto più chiaro quando, il guru di turno l'aveva convinta a donare quella robaccia alla sua associazione.
Entrando dentro quella gigantesca lapide, il rumore di una tv, non poco lontana, gli ricordò che fosse domenica e la sua settimana era ormai giunta al termine, lasciando il posto all'ennesimo lunedì.
Il volume di una televisione, sintonizzata su un programma condotto dalla solita presentatrice stridula e tiratissima, gli indicò dove orientarsi in quell'enorme atrio.
Un portiere sonnecchiante lo guardò distratto da dietro il vetro, con l'aria di chi non voleva alcuna rogna. La sedia scassata su cui bofonchiava scricchiolò prima che, un gomito poggiato sul telecomando, cambiasse canale. Alec guardò desolato quella maratona del suo telefilm preferito che, anche per quella volta, avrebbe perso.
Da una scritta malconcia trovò la direzione che portava all'ascensore.
Digitò distrattamente il numero del piano sui tasti sbiaditi, pregando -un gesto insolito che si risparmiava per i casi disperati- di non incontrare l'ennesimo fidanzato di lei: il solito bad boy, come lo chiamava la madre. Ribattendo che questa volta è il tipo giusto, davvero!, Emily sarebbe andata in contro all'ennesimo cuore spezzato, rigettato in infinite puntate di penosi telefilm strappalacrime; in delle finte riunioni di famiglia, avrebbero obbligato anche lui a vederle, sostenendo che momenti come quelli erano catartici -la definizione era della madre; la protagonista di Il mio cuore è tuo per cent'anni lo utilizzava come il sale in cucina in ogni dialogo sconclusionato.
Alec ringraziò lo specchio affumicato e sudicio dell'ascensore che ebbe cura di non spiattellargli in pieno viso che pessimo aspetto avesse. Con quel volto sciupato dal sonno perso e le palpebre gonfie per quel pisolino scomodo che si era concesso nella sua auto, si sarebbe odiato amaramente al sol vedersi in quello stato.
Con gli stivali, sollevò un angolo della moquette verde che ricopriva il metro quadro dell'ascensore, scorgendo un piccolo nascondiglio di qualche strano tipo di blatta a lui sconosciuto; schifato, si appuntò mentalmente di prendere le scale la volta successiva.
Da dentro la tasca dei jeans gelidi, il cellulare vibrò.
Svizzera come sempre alla chiamata delle otto -tanto che aveva dovuto spostare di un quarto d'ora l'orario di cena, per non essere disturbato- la parola mamma lampeggiò sul display del cellulare.
"Tesoro, sei già arrivato?"
"Sì, mamma."
"Oh, Emily è lì con te?"
"No. Sono in ascensore."
"Ricordati di controllare se ha tutto in frigo e la donna delle pulizie che le ho mandato ha fatto un buon lavoro. Chiedile se ha bisogno di qualcosa, so che doveva fare una visita dal dermatologo, in questi giorni... ah, e amore, se rimani a dormire da lei, assicurati che il bar vicino le porti la colazione alle sette... le ho mandato un paio di cornetti congelati, ma hanno l'olio di palma, e non li vuol mangiare..."
"Vado e ti dico. Ci sentiamo."
"Prenditi cura di lei, tesoro. Ti chiamo fra mezz'ora."

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