Capitolo II

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Poche settimane dopo la scuola riaprì i battenti. Quella mattina mi sembrava tutto più luminoso e foderato d'incanto. Come ho già detto, preparai l'occorrente scolastico tempo prima, e così presi tutto nell'angolo della mia stanza rettangolare. Avevo pregustato quel giorno da mesi! Potevo finalmente incamminarmi verso un futuro, un mestiere! Avrei studiato duramente e finalmente raggiunto la meta: diventare giornalista. Ricordo quegli anni con un'incredibile felicità: furono i più brillanti della mia giovinezza. Studiavo ed ero completamente rapita dalla scuola: era tutto ciò che rappresentava i miei obiettivi. Ero diventata più socievole e il mondo sembrava sempre più piccolo man mano che gli anni passavano: facevo nuove conoscenze, chiacchieravo con le ragazze della mia classe... Benché non fossero le conoscenze il mio primo pensiero, avevo stretto legami indissolubili, senza neanche rendermene conto. C'era una ragazza, Patricia, e un ragazzetto, August. Patricia e August erano i miei fratelli non biologici. Eravamo sempre insieme e ci raccontavamo di tutto. Ricordo così bene le risate che facevamo... Patricia era una ragazza bionda, tutta un ricciolo: proveniva da una famiglia di ceto alto, ma non era snob. Era come una seconda pelle: aderiva perfettamente alla mia. Aveva occhi ridenti e azzurri, ed era un ciclone personificato. August, invece, era tutto il contrario, una persona pacifica, con capelli scuri e umile. Eravamo un trio perfetto: ci completavamo a vicenda. Le giornate erano limpide ed era tutto calmo. Forse troppo: mi ricordo che non ne avevo mai abbastanza! Ero affamata di avventura, di giornate imprevedibili e di risate sonore per i viali della città. Londra era così ferma, per me. Pioggia e noia la riassumevano perfettamente.

Ero davanti scuola. Quell'edificio era enorme e trasudava pagine di dizionari persino a guardarlo: in alto, anche se il sole mi accecava. Misi una mano sulla fronte e continuai a fissarlo, imperterrita: qualsiasi persona l'avesse mai guardato, anche di sfuggita, avrebbe assunto la mia stessa espressione. L'espressione che si usa solitamente per guardare un bambino mentre lo si rimprovera di aver mangiato troppo gelato, ma ci si sorprende a ridere di gusto. Non so se rende l'idea... Un misto tra sorriso e disapprovazione. Ovviamente non ero vestita di tutto punto. Patricia mi aveva avvertito con molta serietà di presentarmi davanti scuola alle 15. E quando mi incontravo con lei pescavo sempre due magliette a caso dall'armadio e correvo via. Peccato che fossero le 15.30 e nessuno era arrivato. Ero lì lì per andarmene quando vidi in lontananza, nelle vie che sfrecciavano via insieme alle auto, ben due sagome sfocate. "Patricia mi aveva detto che però ci saremmo state solo noi!" mi dissi con stupore e anche un po' di rabbia: era una sua specialità raccontarmi bugie e io dovevo cascarci sempre. Non che la presenza di August mi desse fastidio ma... Avevo 17 anni e avevo bisogno anche dei miei spazi fra amiche femmine. Nel frattempo, fra i miei tanti e profondissimi pensieri, arrivarono tranquilli August e Patricia. Avevano un'aria grave, seria. Nessuno di loro aveva mai avuto quell'espressione, men che meno Patricia: lei era l'ottimismo fatto persona! Ma non quella volta. In particolare August aveva gli occhi rossastri, come se avesse pianto da poco. Strano. Stranissimo! August poteva sembrare dall'aspetto una persona fragile, ma era una roccia, la NOSTRA roccia. Mia e di Pat. Era la spalla su cui piangere quando i ragazzi ci deludevano (in realtà deludevano solo Pat perché io ero considerata una ragazza che stava bene da sola e i ragazzi non pensavo che nemmeno esistessi), era l'amico che c'era sempre e che non poteva deluderci mai. Era l'unico ragazzo su cui potessi contare. A quel punto, notando che aleggiava un silenzio strano nell'aria, mi accinsi a rompere il ghiaccio. "Ehi, Pat, August! Come va? Io sono qui che vi aspetto da mezz'ora e capisco, Pat, che la puntualità non sia proprio una tua caratteri...". A quel punto mi interruppe Pat. "Guarda, Sophia, oggi non è proprio il giorno degli scherzi... Non so se vedi l'umore di August. Potresti anche evitare di lamentarti, anche oggi!". Pat era arrabbiata. Non lo era mai. Solo una volta in 3 anni l'avevo vista folle di rabbia ed era perché i suoi le avevano impedito di comprare un graziosissimo paio di scarpe importato direttamente dalla Ville Lumière. Erano di un color verde mela pazzesco: comodissime a vedere, erano adornate di brillantini di una impercettibile brillantezza. Questo conferiva alle scarpe un non so che di chic e speciale. Erano uniche e in commercio solo per una settimana: dopo di che il corriere sarebbe passato nel negozio londinese per ritirare le paia non vendute e sarebbe ritornato in Francia. Ovviamente il prezzo di un articolo del genere era folle: 173 sterline. I genitori non le diedero il permesso di comprarle e lei si era comportata come un'esaurita squinternata per giorni. Poi le era passata e tutto era ritornato come prima. Ma questa volta era diverso: più che arrabbiata, sembrava delusa. Non per lei, ma per August. A quel punto decisi di calmare tutti. "Senti Pat per piacere mi spieghi che sta succedendo? Vedo te e August bianchi come cadaveri, ma nel frattempo rossi di rabbia e delusione. Dico una parola e mi attacchi. Non sono una strega veggente e non posso guardare nelle vostre menti. Quindi spiega!" dissi con voce alta ma decisa. Sapevo che se avessi utilizzato quel tono di sicuro avrebbe parlato, per questo lo usavo così raramente. Patricia alzò la testa, sguardo fermo, mano stretta a pugno mentre l'altra nella mano di August. Questo particolare non lo avevo notato. "Fattelo spiegare da lui cosa c'è che non va!" replicò. Allora, con le braccia conserte, spostai lo sguardo da Patricia a August. "Dimmi, August. Cosa c'è che non va?" dissi pacatamente. Per tutta risposta intervenne Pat, improvvisamente rinata: "Ma si, Soph, va tutto bene. Andiamo al bar da Carlos?" chiese, con una scioltezza incredibilmente finta. Con gli occhi sbarrati, annuii. Durante il tragitto lo strano silenzio di poco fa ritornò, placidamente, ad aleggiare intorno a noi. Intanto riflettevo, spaventata da quella situazione così inusuale. Sentivo puzza di bruciato. Non era un comportamento normale quello che aveva avuto Pat: prima arrabbiata, poi felice. Avevo deciso che entro la fine della giornata mi sarei fatta dire cosa era successo. Entrammo nel bar. Era un posto carino, che aveva trovato August; aveva un bancone rotondo in mezzo al locale e tutto intorno erano presenti dei tavolini con quattro seggiole ciascuno. Insomma, un tipico bar inglese. Ci sedemmo nel tavolino meno esposto e visibile, lontano da occhi indiscreti. A noi piaceva essere dimenticati dalle persone. Arrivata la cameriera, ordinai un frullato alla fragola, con tanto di latte. August e Pat presero invece rispettivamente un gin tonic (era più grande di un anno e poteva bere alcolici) e latte e biscotti. Adoravo le strambe ordinazioni di Pat: ordinava sempre le bibite e i piatti più strani e io assaggiavo tutto quello che prendeva. Ovviamente contro la sua volontà! Non ce la facevo più: dovevo sapere. "Non ce la faccio più. Non ci sono mai stati silenzi fra di noi... Che cosa è successo di così grave da non dovermi parlare più?" chiesi disperatamente. "Tranquilla Soph, non è colpa tua. E' una cosa che io e August condividiamo da tanto tempo, ma che tu non sai. Ora è venuta fuori e io gli avevo detto di dirtelo, ma lui non sembra essere d'accordo." mi rispose dolcemente Pat, stringendomi con fare comprensivo la mano con la sua, smaltata di rosa shocking. Per la prima volta nel pomeriggio, August sembrava aver riavuto il dono della parola. Con fare melodrammatico, alzò gli occhi scuri e fissò i miei. C'era qualcosa di strano, un'intimità in quello sguardo che non mi sembrava di aver mai avvertito prima di allora. Allora prese coraggio: "Soph, io sono innamorato di te. Scusa, non te l'ho mai detto prima perché avevo paura. Pat sapeva, ma l'avevo implorata di non rivelarti nulla. Forse sarebbe stato meglio, perlomeno non mi troverei in questa imbarazzante situazione adesso.". Sputò tutte le parole velocemente, guardando il tavolo e me. Subito dopo la sua confessione arrivò la cameriera per portarci le ordinazioni. Io ero sotto shock. Non riuscivo a capire. Io e lui eravamo sempre stati solo amici. Nulla di più. Mai avrei pensato che fosse innamorato di me. Neanche per un secondo, quel giorno, ho pensato che fosse quello il motivo per il quale erano tutti e due così tesi. No, se avessi tirato a indovinare probabilmente avrei detto che il segreto che tenevano nascosto fosse un bambino in arrivo. Avrei fatto un buco nell'acqua. Non riuscivo a concepire come lui avesse mai pensato a me come una figura diversa da quella di un'amica. Forse non riuscivo ancora bene a capirlo perché non mi ero mai innamorata. Per me lui era come un fratello; riuscivo a vederlo solo così, ma mai e poi mai avrei pensato a lui come un probabile fidanzato. Mai. Ancora sotto shock, iniziai a giocherellare con la cannuccia del mio frullato. Capii che entrambi aspettavano impazienti una risposta, una qualche reazione. Non sapevo cosa fare. Non volevo urtare i suoi sentimenti rispondendo con un no, ma non volevo neppure agire sotto l'effetto di una temporanea sindrome da crocerossina, dicendo che ero innamorata di lui quando non era la verità. Mentre temporeggiavo, continuando a gingillarmi con la cannuccia, cercavo una qualche risposta vaga su una questione che era stata sopita per forse troppo tempo. Allora, a quel punto, commisi il grave errore di porgere una domanda che mi metteva ancor di più nei guai. "Da quanto tempo?" chiesi, tenendo in mano il bicchiere ancora colmo di frullato, la cui superficie ondeggiava. "Da sempre. Dalla prima volta che ti ho incontrata ho visto che c'era qualcosa nei tuoi occhi, nel tuo modo di fare sbarazzino, senza pensieri, con quel tuo sorriso grande che si vede raramente: questo lo rende speciale e unico, come un diamante. Scusami, sto diventando sdolcinato a livelli estremi e, guardando il tuo viso e l'espressione, non credo che la cosa ti piaccia molto o ti stia piacendo. Non ti fare problemi a dirmi che non provi lo stesso per me, tanto lo sapevo già." disse in maniera melodrammatica, guardando Patricia con una smorfia mista di dolore e tristezza. Aveva esagerato... In questo modo aveva contribuito a farmi sentire ancora peggio... Io non l'amavo, provavo per lui solo un forte sentimento di amicizia, ma non avevo la forza di spezzargli il cuore. Eppure, con ciò che aveva detto aveva proprio fatto centro: le cose sdolcinate le odiavo. E il discorso sui miei occhi e il mio sorriso... "Scusami August, ma per me tu sei come un fratello. Non riesco a vederti come qualcosa di più. E lo so che ti sto spezzando il cuore e che non vorrai più parlarmi per questo, ma non mi sembra giusto nei miei e nei tuoi confronti fingere di provare un sentimento che non mi appartiene." sbottai, pronunciando in fretta e furia una frase alla quale altrimenti non avrei mai più avuto il coraggio di dare vita. Non l'avessi mai detto. August prese a fissarmi con una rabbia irrefrenabile negli occhi. Spinse la sua sedia all'indietro e se ne andò pronunciando a voce bassa e inquietante una frase che non avrei mai più dimenticato: "Io non sono tuo fratello.". Ed è così che se ne andò per sempre dalla mia vita. Avevo perso un fratello e non lo avrei mai più rivisto.


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