Capitolo IV

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Ciao bellezzee :) Mi scuso in anticipo per gli aggiornamenti che credo non riuscirò a fare la prossima settimana... Ma, per farmi perdonare, ho aggiunto l'elenco del cast (finalmente, lo volevo fare da un sacco) e aggiornerò la storia con ben due capitoli ;)

Tanto love, _SaveTheLastBook_

Mi ritrovai li, davanti a quest'enorme casa, divisa dalla mia migliore amica da uno stupido cancelletto di cemento argentato. Lei era ferma lì, sulla soglia, appoggiata all'enorme porta lussuosa. Il suo sguardo era severo, ma la sua espressione rivelava la delusione, la tristezza e la nostalgia nel vedermi. Era sempre la stessa. Passato un mese. Aveva i capelli bagnati, non ricci, ma mossi. Indossava una maglietta azzurro cielo sbiadita e un pantaloncino corto; ovviamente, era scalza. Sembrò passare un momento infinito prima che venga vicino a me e mi apra il cancelletto. La abbracciai forte. Dio solo sa quanto mi mancava. E così, in un attimo, ci ritrovammo nel vialetto avanti casa sua, a piangere, abbracciate, tra viole e margherite.

Ci sistemammo dietro casa sua, in veranda, su due sedie pieghevoli, davanti al giardinetto con un'altalena riservata al suo fratellino, Shawn. Ci ritrovammo a parlare di tutto quello che non ci eravamo raccontate, con un sorriso perenne sul volto. Alla fine, ci fu un silenzio. Non uno di quei silenzi imbarazzanti che mi ricordo di aver avuto con alcune persone. No, un silenzio piacevole, che rivela la pace nelle nostre anime. Finalmente gli avevo raccontato tutto. Ma non le avevo ancora rivolto la domanda cruciale, riguardante l'unico argomento di cui mi ero ripromessa di non parlare.

"Hai più sentito August?" le chiesi, con la voce e le mani tremolanti.

Il suo sguardo era perso nel vuoto e sorridendomi mi rispose: "No, l'ho visto il giorno della sua partenza però.". Mi rivolse un sguardo triste, ed ero sicura che fosse lo specchio e il riflesso del mio.

"Raccontami." la pregai. Volevo sapere tutto del loro incontro. Anche se mi ero convinta che oramai facesse parte del mio passato, August era il mio migliore amico e non nascondevo la mia curiosità e speranza nei racconti che mi doveva Pat.

"Era alla stazione di Londra, quella grande e centrale, la più importante della città." iniziò a raccontare..."Io ero lì poiché mio padre doveva rientrare da un incontro importante con un suo collega di Belfast. La stazione era gremita ed era matematicamente raro che potessi vederlo in mezzo alle persone che soffocavano l'ambiente, ma il destino deve averci messo il suo zampino. Aspettavo un treno color nero pece, quello da cui sarebbe sceso mio padre. Mi volto per cercare mio fratello e lo vedo. Lì, immobile, deciso. I capelli neri lisci come sempre. Aveva un valigetta di pelle morbida con sé ed era accompagnato dal padre. Credimi Soph, sembrava che non gli importasse nulla del resto della gente là. Aveva uno sguardo fisso e chiacchierava con suo padre in maniera fredda; non era più lui."

Vedevo come la sofferenza trasparisse dai suoi occhi e lei non intervenisse per nascondere le sue emozioni. Eravamo state ferite entrambe dalla stessa persona e potevo comprendere benissimo ciò che provava. Anche se sono qui, adesso, mi sembra ancora di riuscire a toccare con mano il dolore che ci univa per la perdita del nostro più caro amico...

"Lo so, Pat. Lo so. Ho capito che si era trasformato dal momento in cui l'ho rifiutato. Se fosse stato in sé non avrebbe lasciato quel tavolino, un mese fa." gli dissi.

"Già" mi rispose, tornando a posare lo sguardo sul prato verde.

Era come se la mia assenza l'avesse temprata un po'. Anche lei, come me, era cresciuta ed era maturata. Ora era venuto il momento, però, di ardire con la mia richiesta di appoggio in quello che avevo deciso di fare.

"Pat" esordii, esitante. "Ho deciso di fare una cosa." le dissi.

"Dimmi tutto!" rispose. La solita felicità e spensieratezza era tornata ad impossessarsi del suo volto. Era quella parte di fanciullezza che viveva ancora in noi, la pazzia che pensavo mi portasse, in quella oramai lontana primavera del 1933, a prendere quella decisione.

"Voglio tagliarmi i capelli e tingerli di biondo ramato dorato." dissi, con aria solenne e ironica. Era il mio punto di partenza, ma anche il mio traguardo. Era quel punto di inizio verso una nuova vita, un nuovo inizio. Volevo che tutto il mondo sapesse che ormai ero cambiata, avevo un obiettivo e nessuno poteva più fermarmi. Volevo essere una giornalista. Era un'arte per me. L'artista che era in me lo aveva suggerito e avevo lasciato andare me stessa in balia della decisione della mia folle voce, dicendomi: "Che male c'è? Sophia Malrer Grangeson, hai una vita da vivere! E allora vivi!". Avevo preso in mano le redini della mia vita. Ero intenzionata a godermi tutto a più non posso e non volevo di certo trattenermi. Ora mi sembra una di quelle decisioni normali, anzi, senza alcun rilievo nella vita di una persona normale. Ma era proprio questo il punto: io non ero normale. E neanche Pat. Altrimenti non avrebbe avuto l'ardore di rispondermi: "Sono con te, mia folle sorella."

I AM SOPHIADove le storie prendono vita. Scoprilo ora