La promessa

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Premessa: La copertina, l'immagine del capitolo e la poesia/canzone nel terzo capitolo sono mie. Ideate e create da me.
Il titolo inizialmente era "Ninna Nanna di Erebor" ma poi ho preferito cambiarlo in "Ninna Nanna" ma l'immagine del capitolo l'avevo già fatta e non ho avuto voglia di rifarla con il titolo corretto (sono una persona pigra, lo so). Mi è venuta l'ispirazione di questa storiella rileggendo Lo Hobbit, in specifico grazie al finale del capitolo "Una festa inattesa" che ho ritrascritto nella descrizione.
C'è una leggera sfumatura di Thilbo (giusto per avvertire).
Nomi, luoghi e personaggi appartengono a John R.R. Tolkien.

Piccolo avvertimento: questo segno (*) indica che è presente una nota per spiegare le scelte fatte da me ma le note le pubblicherò in un capitolo a parte alla fine.
E... niente, buona lettura.

~~~

Thorin giaceva sulla roccia, senza respiro.

La sua testa iniziò a vorticare ma i suoi occhi vedevano benissimo l'Orco Pallido a cavallo della Matriarca che sorrideva gelido verso quel corpo quasi senza vita, ormai sicuro di averla vinta su Scudodiquercia.

Possibile che avessero fatto tutto quel viaggio, percorso tutte quelle strade per essere schiacciati?!
Non erano arrivati nemmeno alla meta, dannazione!

-Portami la sua testa.-

Non aveva firmato il contratto, diventato scassinatore, lasciato la sua casa, rischiato la vita più volte e sopportato quei nani solo per arrivare lì!
Solo per vedere il grande Thorin Scudodiquercia, quel dannatissimo e orgoglioso nano, perdere, letteralmente, la testa sotto i suoi occhi!

Senza rendersene conto iniziò a correre verso l'orco che si stava avvicinando a Thorin con il suo tagliacarte elfico, no, con la sua spada in mano, che luccicava con un intenso colore azzurro.

Si gettò sopra l'orco con slancio, cogliendo di sorpresa tutti, persino se stesso, e lo fece cadere.
Iniziò a colpirlo con forza, facendo affondare la lama nella carne dell'orco quasi senza fatica.

Non avrebbe permesso a quel bastardo di uccidere Thorin.

Si fermò.

L'orco era morto, lo aveva ucciso, eppure sentiva un dolore atroce al petto.
Abbassò lo sguardo e quello che vide era una lama imbrattata di sangue, il suo sangue.

La lama (*) lo alzò da alcuni metri da terra provocandogli tanto dolore da credere che il suo corpo si dovesse frantumare in mille pezzi.
Non c'era bisogno di essere un genio per capire a chi apparteneva.

Azog.

Bilbo si impanicò.
Anche se gli provocava altro dolore, iniziò a guardarsi attorno alla ricerca dei suoi compagni.

Non c'erano.

Sentì una risata glaciale che lo fece rabbrividire dalla paura e poi la sua voce.

-Non ci sono più... guarda, hanno preso il volo.- e solo in quel momento Bilbo vide che l'enorme albero su cui si erano arrampicati per sfuggire agli orchi era scomparso.

No, non era possibile, non erano... morti.

Si sentì inumidire gli occhi.

No, Gandalf aveva sicuramente trovato un modo per salvare se stesso e gli altri nani.
Doveva averlo trovato.

Doveva.

Nel profondo, però, in qualche modo sapeva che si stava raccontando bugie. Bugie non credibili, per una speranza vana.
Erano morti, centinaia di metri più in giù.

Non ebbe il tempo di piangere i suoi compagni e amici che il Profanatore lo costrinse a guardare verso il corpo inerme di Thorin.

Di colpo il dolore al petto calò, quasi non lo sentiva, e i vari rumori, il crepitare del fuoco, gli ululati dei mannari, si affievolirono fino a scomparire.

L'orco, che aveva ucciso, che aveva trapassato più e più volte con la sua spada, era in piedi, dietro il corpo di Thorin, con la lama alzata.

Fu un secondo.

La testa di Thorin rotolò via, verso di lui.

Rotolò per un paio di metri e lì si fermò.

Aveva gli occhi aperti, lo fissava.

E lo fissava come se Bilbo non valesse niente, come se tutte le disgrazie che aveva avuto in vita fossero colpa dello hobbit e solo dello hobbit.

Come se la venuta di Smaug fosse colpa di Bilbo.
Come se la morte di Thror e la scomparsa di Thrain fossero colpa di Bilbo.
Come se non avere un luogo da chiamare "casa" perché gli è stato rubato fosse solo e solamente colpa di Bilbo.

Calde lacrime amare iniziarono a solcare il volto dello hobbit e esse aumentarono tanto da fargli strizzare più e più volte gli occhi per riuscire a vedere.

E mentre piangeva singhiozzava il suo nome, il nome di quel nano così testardo quanto coraggioso, orgaglioso e forte.

Sentì Azog ridacchiare.
Gli sussurrò -Finirà comunque così: lui morirà e tu non potrai salvarlo.-
Bilbo raggelò a quelle parole.

Sembravano più una promessa che una minaccia.

Azog lo fece cadere e lo hobbit precipitò vicino alla testa di quel grande leader.

Con le lacrime agli occhi, consapevole che stava morendo anche lui, si avvicinò alla testa mozzata e allungò il braccio per dirgli addio un'ultima volta con una carezza a quel viso che ben poche volte aveva visto sorridere.

Appena lo toccò, però, davanti a Bilbo apparve un enorme occhio rosso, come di fuoco.
Davanti a quell'occhio lo hobbit provò il terrore puro: percepiva il suo corpo messo a nudo bruciare e disintegrarsi mentre la sua mente era invasa da una maligna pece rossa.

E Bilbo urlò con tutta la forza che aveva.

Lo hobbit spalancò gli occhi terrorizzato.

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