5. La mia signora

16 3 0
                                    

Arrivarono ad Oirus un giorno più tardi del previsto, la tempesta li aveva rallentati parecchio. La città era una lunga lingua di terra, schiacciata fra il mare e la montagna, le case, alte e strette, salivano lungo i pendii quasi sfidando la gravità. Il porto era grande, con innumerevoli moli di pietra, e, ai due lati, si spingevano sul mare due gettate, sovrastate alla loro estremità da due torri fatte di grosse pietre grigie, difese da molti uomini armati e diversi cannoni. Quasi la metà degli attracchi erano occupati da navi da guerra, e l'atmosfera generale era tesa. Militari si affrettavano in ogni direzione, e scaricatori e marinai lavoravano lesti sotto le grida dei loro superiori.

Il tempo era rimasto nuvoloso; la pioggia fine, che cadeva su di loro, e l'evidente stato di guerra in cui si trovava la città aveva reso l'arrivo alquanto deprimente. I cinque scesero dalla nave, e Daya li condusse alla locanda più vicina. Non era il caso di perdere tempo a cercare un luogo migliore, Daya non pensava che si sarebbero fermati a Oirus a lungo. Se veramente Einar viaggiava con un gruppo di tipi loschi, questi non sarebbero rimasti in città, troppi militari erano presenti, sarebbero piuttosto andati nell'entroterra, in posti più sicuri.

Da quanto aveva raccontato Hiro, Einar era partito due settimane prima, trovare informazioni su di lui qui sarebbe stato quasi impossibile, per cui, Daya decise di focalizzarsi maggiormente su questa nuova banda di uomini tatuati, e per quello sapeva dove andare, c'era solo una persona che poteva essere al corrente di qualcosa.

Una volta finito di mangiare, uscì dalla locanda, come al solito seguita da Hampus. Daya cominciava ad abituarsi alla sua presenza, anzi si sentiva stranamente in sintonia con lui e non protestò. Camminarono per un po' lungo i vicoli del porto fino ad arrivare davanti alla porta di una compagnia di navigazione, la Mare e Cielo.

«Qui?» chiese Hampus indicando l'ingresso, e Daya annuì, spinse la porta ed entrò.

Si trovarono in una stanza spoglia, uomini di vario aspetto erano seduti qui e là lungo due file di sedie e in fondo, seduta dietro una scrivania ricoperta da scartoffie, una donna grassottella sulla quarantina sfogliava con aria arcigna dei documenti.

«Il prossimo!» disse posando le carte.

Un uomo gracile si alzò e si avvicinò con passo esitante alla scrivania, teneva un cappello in mano, era vestito con vestiti logori e laceri e aveva l'aria timida e in soggezione. La donna lo squadrò un attimo.

«Allora hai già navigato?» chiese secca prendendo in mano una penna.

«N-no...»

«Pochi muscoli vedo. Anni?»

«Trentasette...»

«Rachitico e pure vecchio! Di sicuro non puoi andare su un mercantile...»

La donna lo squadrò con attenzione, l'uomo martoriava il cappello con fare ansioso, poi lei si mise a scrivere su un foglio.

«Tieni!» disse porgendogli ciò che aveva scritto «Il comandante della Santa Maria cerca un lavapiatti, va al molo dodici a vedere se ti prende, di più non posso fare»

L'uomo prese la carta con slancio e poi fece un inchino.

«Grazie! Grazie mille» e così dicendo si girò e andò verso la porta, quando passò vicino a loro, Daya vide che aveva un sorriso felice.

Intanto la donna aveva riabbassato la testa sulle sue carte, allora lei si schiarì la gola per attirare la sua attenzione, e la cosa funzionò.

«Daya» disse in tono truce, poi il suo viso si aprì in un sorriso quando posò gli occhi su Hampus.

I Guerrieri di Goran - Cuore in tempestaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora