Traccia 4 - 1.1 Ciò che manca - L'ultima battaglia di Tedros

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Quando il colpo mi raggiunse alla nuca non riuscii nemmeno a percepire il freddo del metallo sul collo.
Caddi riverso sulla sabbia dell'Arena, sollevando polvere tutto intorno a me.
Non fece male. Non fisicamente almeno. Quanto all'orgoglio, fu un duro colpo.
Un coro di grida si levò dagli spalti.
Tedros, il Gladiatore Immortale, era stato sconfitto.
Piccole goccie di sangue scendevano lungo il mio collo, macchiando la sabbia bianca di un rosso scarlatto.
Una... due... tre... quattro...
Si susseguivano veloci, impazienti di scivolare sul mio corpo inerme.
Non riuscivo a muovermi.
Il mio corpo non rispondeva.
Un senso di panico mi attanagliò lo stomaco.
Stavo morendo?
La ferita non bruciava.
Nessuna ferita lo aveva mai fatto.
Per questo avevo deciso di diventare gladiatore.
Immaginatevi che spasso vedere come il povero sfidante di turno, sicuro dell'efficacia della sua mossa, si ritrovi dinanzi a sé un essere incapace di provare dolore - l'Imperatore l'avrebbe adorato!
Ed era stato così infatti.
Entrai nell'Arena senza più uscirvi.
Nessuno era in grado di battere il Gladiatore Immortale e, se fossi mai stato battuto, l'Imperatore mi avrebbe risparmiato.
Ero il miglior gladiatore di tutta Roma, beniamino delle folle - chi avrebbe potuto volermi morto?
Lo scoprii quella mattina, varcando il cancello dell'Arena, le acclamazioni della folla che mi scivolavano lentamente addosso, coprendomi di gloria.
Il mio sfidante mi attendeva nel mezzo dell'Arena, armato di spada e scudo, il volto scoperto.
Era un uomo anziano, dagli occhi accesi dal fuoco dell'ira.
Stringeva la spada con una forza esagerata, quasi a sfogare la sua collera sull'elsa di cuoio.
Una cicatrice profonda solcava il suo viso, rossa, scomparendo nella folta barba bionda.
Il suo corpo era possente, ma logorato dal tempo. Non avrebbe retto lo scontro a lungo.
Eppure quella furia, che sgorgava pura e cristallina dai suoi occhi, mi spingeva a temere quell'uomo.
Quell'uomo aveva qualcosa di familiare, e ciò mi spaventava ancora di più.
Ma dove l'avevo visto?
Un'immagine, un ricordo passato, si sovrappose al suo volto.
É vero, sono insensibile al dolore, ma non ai sentimenti umani, a quel dolore che logora l'uomo da dentro e che si può leggere nei suoi occhi.
Mi avvicinai al mio avversario.
Non riuscivo a proferir parola, tale era la vergogna di fronte a quell'uomo.
« Cavaliere Immortale » tuonò l'uomo, facendo scendere il silenzio su tutta l'Arena. Perfino l'Imperatore ascoltava con interesse. « Tu hai ucciso mio figlio. Ora pagherai con la vita »
Non avevo mai amato il mio lavoro. Macchiarmi del sangue di giovani combattenti non era un divertimento, bensì una maledizione tramutatasi in abitudine.
Eppure nessuno che mi avesse mai rimproverato, nessuno che avesse il desiderio di infilzarmi con un coltello per poi ruotarlo lentamente, affondandolo nella mia carne, perché "tanto non avrei potuto sentire niente".
Fu forse questo senso di giustizia che mi spinse a lasciarlo vincere?
Forse.
"Non farà male" mi dissi.
Lo sapevo per certo.
E così lasciai che mi colpisse.
Quando non senti dolore, non puoi percepire quanto gravi siano le tue ferite.
É solo un'altra parte di questa maledizione senza fine.
Mi aspettavo di cavarmela con molto meno di questo. Ma il Fato aveva altri piani per me.
Due uomini, dopo un tempo che a me parve infinito, mi sollevarono e mi legarono al retro di un carro.
La mia vista si faceva sempre più debole.
I cavalli, sotto il comando dell'auriga, partirono al galoppo, trascinandomi per l'Arena.
La folla eruppe in grida euforiche. Alcuni mi gridavano "Ti fa male?".
"No" avrei voluto rispondere.
Ma non riuscivo nemmeno a tenere gli occhi aperti.
Sentii la voce della folla allontanarsi.
Lo scalpitio dei cavalli giungeva ovattato alle mie orecchie.
« Stai scivolando negli Inferi »
Quando riaprii gli occhi, ero circondato dalle fiamme.
Avvolte dalle fiamme, centinaia di anime peccatrici gridavano, straziandomi ad ogni grido.
Avrei voluto muovermi, gettarmi nel fuoco e liberarle, farle sparire. Avrei fatto di tutto per farle smettere di gridare.
Ma ero ancorato al terreno arido degli Inferi, la vista bloccata dalle fiamme imponenti.
Vinto dalla disperazione, più volte tentai di gettare la testa nelle braci ardenti intorno a me.
Ma non una sola volta presi fuoco.
Le fiamme intorno a me non bruciavano né ardevano.
Ero un'ombra, immune a qualsiasi pericolo, ancorata alla dimora di Plutone, presenza eterna e indistruttibile degli Inferi.
Ero veramente il Gladiatore Immortale.

Concorso Edizione 2017 di MichelaBaldasso e gemmamilevi89Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora