Ricordo che stava male, non mi diceva mai nulla, mai.
Il suo "niente, non ho niente" mi rimbombava in testa come il ticchettio di un orologio.
Le donne, in genere, hanno questo problema.
Faticano sempre ad accettarsi.
Ed io non potevo darmi pace finché non si sarebbe vista allo stesso modo in cui la vedevo io.
Feci lavorare quei pochi neuroni che rimasero,
fui spinto dall'amore, e da cosa sennò?
Ricordo che una sera era a letto, raggomitolata su se stessa come un gattino che aveva appena perso la via di casa.
Era smarrita ed io non feci che pensare a cosa fare.
Mi avvicinai a lei e la presi per mano, le dissi che doveva fidarsi di me e lei acconsentì.
La feci alzare, la portai davanti a quell'enorme specchio che per qualche ragione, evitava sempre.
All'inizio si rifiutò di guardare quel riflesso di noi, più che altro, di lei. Perchè era lei il problema.
Le sfilai il pigiama facendola rimanere per metà nuda e la obbligai a guardare davanti a sè.
"Guarda che c'è lì. Spiegami come fai ad odiare tutto questo. Come fai ad odiare ciò che io amo con tutto me stesso. E quando mi avrai convinto, forse ti capirò", le dissi tutto d'un fiato cercando di capire da dove mi era uscito quel coraggio.
Aprì la bocca per potermi rispondere ma la fermai.
Strinsi i suoi fianchi e la voltai verso di me.
Presi ancora fiato.
"Ascoltami, non esiste corpo al mondo che desideri di più. Non mi basti mai, se solo potessi ti darei i miei occhi per poterti far capire cose vedo io. Quindi smettila di evitare gli specchi, smettila di vergognarti di te stessa e cammina a testa alta che sei bellissima. E per tutte le cose belle che ho visto, le aurore boreali, le nevicate, il cielo pieno di stelle, non badare. Perchè i miei occhi hanno avuto felicità per qualche ora. Invece, vedendo te, hanno trovato felicità per tutta una vita".
Annuì, mentre le lacrime le rigavano il viso e un sorriso grande si faceva spazio sul volto.
Quella sera, ricordo, io avevo vinto.— Sempiternal;