Capitolo 5*** Epilogue of human identification ***

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Due metà dello stesso guscio di noce galleggiano nel lago dell'ignoto. Fluttuano, incespicano, tentennano.
Non importa che una non sia marcia. Non importa che l'altra voglia vivere. Tutto marcisce, tutto muore, tutto affonda.

La stanza è buia.

Byun Baekhyun osserva minuziosamente le proprie nocche bianche e i polpastrelli consumati dall'attrito con le bende. Il suo viso è corrucciato in un'espressione sottilmente concentrata, piccole rughe di espressione accompagnano l'elegante profilo della fronte e del naso.
Il pianoforte all'interno della sua testa suona ininterrottamente note basse e minori. Baekhyun immagina piccole dita che ne carezzano i tasti bianchi e neri, dita sottili ed eleganti, dita che un tempo erano sue. Dita che ormai non gli appartengono più.
Quando la ronda passa, il giovane sorride. Come sempre, li saluta con cortesia. Ormai non ha più paura di loro. Si alza, prende un gessetto e si accosta all'angolo del muro.
La ronda si agita appena, Baekhyun li guarda: piccoli occhi che lo spiano. Con pazienza comincia a tracciare segni continui sulla parete. Pelle, iridi, pupille, palpebre.

La stanza è vuota. La stanza era vuota anche prima.

Chanyeol si contorce sull'unica poltrona del suo soggiorno in cerca di una posizione che non può trovare. Si scava una fossa tra i cuscini e vi sprofonda all'interno, mentre nel televisore appoggiato sul tavolino dinanzi a sé un telecronista aggiorna con crescente fervore la continuità delle notizie di cronaca nera.
Si sta per assopire quando il suo telefono squilla e fa vibrare la tasca posteriore dei suoi pantaloni.

"Lu Han..." biascica una volta che accetta la chiamata.

Ha la voce rauca e più graffiata del solito. Cerca di schiarirla ma senza risultato. Capita quando passa tutta la notte ad urlare. A sua discolpa, il sogno era davvero orribile.

"Park Chanyeol."

"Lu Han, sei tu?" le parole faticano ad uscire, si seccano sulla lingua una ad una ed ogni respiro è rallentato ai limiti del possibile.

"Chanyeol, la clinica."

"Chi sei." mormora con fatica. La voce non è più quella sottile e delicata dell'amico. Cerca di riconoscerla, ma il suo cervello è così lento, così lento.

"Vai alla clinica." la voce si fa dura, aspra, tagliente. Uno sprazzo di lucidità nella mente assopita di Chanyeol lo riporta ad un viso.

"Jongin?"

"Park Chanyeol, svegliati."

E Park Chanyeol serra gli occhi, stringe i pugni, si morde la lingua gonfia. E si sveglia.

L'immagine bidimensionale di Kim Jongin non occupa molto spazio nel muro della strada che costeggia l'ospedale. Giusto due spanne, e non gli rende giustizia.
Jongin ha la pelle bronzea e calda, quasi quanto la sua voce. Gli occhi sono profondi, due paludi di inchiostro che scrutano chi lo guarda. Un sorriso appena accennato, la bocca piena socchiusa. La foto invece è scura, grigiastra, gli impallidisce le gote e sbiadisce lo splendore assoluto della sua bellezza.

Park Chanyeol è fermo sul marciapiede e in realtà non sa perché sta piangendo, sa solo che le lacrime hanno iniziato a correre lungo il suo viso freddo e non sembrano aver intenzione di arrestare il loro corso.

Kyungsoo, al contrario di Jongin, ha la pelle bianca come il latte. Le guance soffici e le labbra dolci gli decorano il volto come una corona di fiori. Chanyeol non ha mai sentito la sua voce, ma gli piace immaginarla come un suono morbido e sussurrato nella notte. I capelli neri e lisci gli accarezzano i lineamenti delicati come un'onda e alcune ciocche gli ricadono sugli occhi enormi e caramellati. Non sorride, ma è come se non ce ne fosse bisogno. C'è Jongin a sorridere abbastanza per entrambi.

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