Primo giorno di scuola

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Marcus arrivò in ritardo al suo primo giorno di scuola.
Era un bambino speciale, lui. Di quei bambini che, da genitore, benedici il Cielo di avertelo donato.
Marcus era sempre stato un bambino solitario. Non amava la compagnia e giocava sempre da solo. A lui piaceva così.
Marcus ascoltava, Marcus capiva. Percepiva ogni cosa. Era un grande osservatore, e questo poteva essere un pregio così come un difetto. Faceva attenzione a tutto. Badava a ogni singolo particolare. La sua giovane testolina lavorava già troppo per la sua tenera età.
Arrivò in classe con l'ansia addosso del primo giorno. Ansia della novità, ansia da prestazione. Ansia percepita il triplo, da un bambino come lui.
Venne messo a sedere con una bambina a cui ancora non era stato assegnato un compagno di banco.
La bambina era bionda, con la frangetta. Le scarpe Lelli Kelly e degli orecchini di perla grandi più o meno quanto una bottoncino.
La bambina lo squadrò. Da capo a piedi. Lilli, si chiamava. Con i suoi occhi profondi e blu come un mare in tempesta.
Marcus se ne stava silenzioso, a un angolo del suo banco, con la testa bassa e lo sguardo fisso su uno spazio indefinito, mentre con le dita giocherellava con una matita.
«Come ti chiami?» domandò la bambina un po' spavalda.
«Marcus» rispose l'altro.
Lilli restò stupita di come il suo nuovo compagno di banco non le tornò la domanda. Non era interessato al suo nome, probabilmente, pensò.
«Sei strano» constatò Lilli.
Marcus, con la testa china, continuava a non guardare la bambina.
Pensava fosse troppo bella per lui, forse migliore, non rendendosi conto che anche Lilli non era altro che una bambina.
Questa è l'età delle incertezze e dei primi approcci con gli altri. Ti senti perso, spaesato, con la voglia e la determinazione di fare una buona impressione e non venir messo da parte. Ma per Marcus era diverso. Marcus nemmeno ci provava, a fare un buona impressione. Sapeva di perdere già in partenza.
E come per lui, la storia si è ripetuta e si ripeterà per tanti altri bambini ancora. Perché la paura di non essere all'altezza o di non essere abbastanza ce la porteremo per sempre con noi, fino a quando non ci renderemo conto anche noi di essere speciali.

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