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Si svegliò quel mattino che era di buon umore. Si fece una doccia, cantando una vecchia canzone popolare che gli aveva insegnato suo nonno. Fischiettando si asciugò e si fece la barba. Scelse la sua camicia migliore e un completo di tweed. Le scarpe di vero cuoio erano il pezzo forte del suo abbigliamento, da sole valevano qualche centinaia di euro. Mise il Rolex al polso, e prese il soprabito.
Scese di sotto a fare colazione, e mentre il maggiordomo gli versava il caffè Jim cercava di concentrarsi sulle notizie del Times.

Intanto, dall'altra parte di Londra, una bambina si svegliava urlando. Il padre andò a prenderla in camera sua, al buio e inciampò in un trenino giocattolo. A quella vista la bambina smise di piangere e cominciò a ridere, mentre l'uomo cercava di non dire troppe parolacce. Poi la prese in braccio e la portò in cucina. La sedette sul seggiolone e mise del latte in un pentolino. Apparecchiò la tavola per due, con tazze, biscotti e pane e marmellata. Versò il latte zuccherato alla bambina e prese per se il caffè avanzato del giorno prima, senza neppure scaldarlo. Finito di magiare ripose tutto nel lavandino e passò lo straccetto sul tavolo per eliminare le briciole. Poi cambiò un pannolino, si lavò i denti, scelse con cura il colore del body, decise che la camicia del giorno prima non puzzava troppo, una maglietta nuova rosa con i brillantini per la piccola, i suoi pantaloni non erano stirati ma non importava, pantaloncini in tinta che forse erano ancora un po' grandi, e per lui una giacca di poliestere. Mentre usciva di casa John Watson pensò che avrebbe dovuto radersi se non voleva farsi crescere i baffi. Di nuovo.

A Baker Street il detective si alzò dal divano dove aveva passato la notte cercando invano di dormire. Era già vestito dal giorno prima, e il cuore gli batteva a mille. Si passò le mani sui capelli mossi che sapeva essere causa del suo successo, e si guardò allo specchio. Era decente, dai. Infilò eccitato il cappotto lungo e la sciarpa, e uscito nella nebbia chiamò un tassì.
Saluto sopra si chiese dove voleva andare, dove doveva andare. Effettivamente non ne aveva idea, disse al conducente. Ma prima che quello lo sbattesse fuori dalla vettura a calci gli venne un'illuminazione.

Quando Jim aveva accettato l'invito non gli era neanche passato per la testa di scegliere un luogo, sarebbe stato troppo facile, ma ora se ne pentiva. Perso nel traffico di Londra, sperava che Sherlock avesse capito subito l'indirizzo. Sarebbe stato alquanto imbarazzante sbagliarsi. Guardava nervoso fuori dal finestrino, e quando vide il portone della piscina fece segno all'autista di fermarsi. Non fece in tempo ad aprire la portiera che due occhi azzurri lo fissavano dal finestrino.

Anche quella volta la sua intuizione era giusta, ma non aveva pensato a cosa sarebbe successo dopo. L'appuntamento, il luogo, l'incontro, tutto molto romantico per ora, ma adesso? Che si fa?

Neanche l'irlandese si sentiva molto a suo agio. "Che mi racconti?" Buttò li. "Mi sei mancato da morire"
Sorrise di nuovo, quel sorriso involontario che gli spuntava quando si trattava di Sherlock, quel sorriso che troppe volte aveva dovuto nascondere dietro un ghigno malvagio.
"Anche tu"

Nessuno dei due saprebbe raccontare quanti secondo si fissarono prima si avvicinarsi uno all'altro o come le loro bocche si incontrarono, l'unica cosa di cui erano consapevoli era il loro desiderio, più forte di qualsiasi altra cosa.

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Capitolo schifo, ma eccolo! Non vedevo l'ora di farli baciare e quindi ero molto impaziente.
Accendete la stellina se vi è piaciuto. Qualcuno di voi ha qualche supposizione per cosa succederà nel prossimo capitolo?? Scrivetela nei commenti!!

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