Capitolo 1

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Un quadro. Uno come quelli di Leonardo da Vinci, di Caravaggio, o ancora, di Picasso. Uno di quelli che suo fratello amava ammirare, studiare, cercando di scovare ogni minimo dettaglio nelle pennellate, nella scelta dei colori, nella prospettiva.

Sherlock Holmes si trovava davanti a un quadro. Un quadro vivo, animato. La cornice era il rettangolo di una piccola finestra. Il dipinto raffigurava una scena rara, anzi, rarissima. Una scena che in quei tempi non poteva essere contemplata. Non doveva essere contemplata.

Il soggetto che il pittore si era minuziosamente impegnato a rappresentare era un ometto dall'altezza infima e dai capelli dorati. Sì, un ometto. Come definirlo altrimenti? Sherlock si dovette persino interrogare sul perché un artista avesse provato il desiderio di dipingere un soggetto così irrilevante. Insignificante. Doveva esserci un motivo. E fu per la sua sete di sapere che rimase lì, ad osservare la scena con i suoi occhi di ghiaccio.

Un particolare. Doveva scovare un particolare importante. Un particolare che mettesse a tacere i suoi quesiti. L'ometto si muoveva rigidamente per l'ampia stanza su cui la cornice della finestra si affacciava. Un postura singolare, militare. Un soldato. E poi cosa? Cos'altro era importante? Il suo modo di sorridere? Quel fare rassicurante e comprensivo? Come poteva essere così...così sciocco e irrazionale da voler aiutare quella feccia che lo fissava come fosse Dio?

L'ometto fermò il suo su e giù imperturbato davanti ad una bambina. O – almeno – così sembrava a Sherlock. Quelli come lei erano tutti uguali anche fra le varie fasce d'età. Il suo sguardo inquisitore si soffermò su quegli occhi enormi, quel nasino schiacciato, quel collo corto e incassato nelle spalle esili. Affinando l'udito poteva quasi sentire quella parlata strascicata. Una bambina down. Che cosa ci trovava il pittore di interessante in un'handicappata? Che cosa ci trovava in quell'ometto che si chinava su di lei e le baciava la fronte?

Tutta quella strada e si ritrovava soltanto con una manciata di nemici dello stato e un ometto insignificante.

La segnalazione era arrivata circa una settimana prima. Se ne stava tranquillamente nel suo studio in quello che un tempo era Buckingham Palace, perso nel suo palazzo mentale, fregandosene della montagna di scartoffie che si erigeva con fare dittatoriale sulla sua scrivania, quando Mike Stanford aveva fatto la sua solita entrata plateale. A Sherlock era bastata un'occhiata per capire che aveva qualcosa di importante da spiattellargli. E si era augurato vivamente che non avesse niente a che fare con i suoi sospetti sull'infedeltà della moglie – cosa effettivamente non eclatante o inaspettata –.

"Devo parlarti."

"Immaginavo."

Holmes non si era curato neanche di spostare la pila di fascicoli e documenti intonsi e ricoperti da una leggera lamina di polvere per vedere meglio il suo visitatore.

"Credo di aver trovato un covo di Incompleti."

L'espressione sul volto di Sherlock si era fatta immediatamente interessata. Finalmente un po' d'azione dopo settimane e settimane recluso in quella stanza troppo lussuosa per i suoi gusti, in un marasma totale, annegando nell'inattività e beandosi soltanto grazie ai suoi inseparabili cerotti alla nicotina.

"Si trova nel Sussex."

Holmes aveva inarcato entrambe le sopracciglia, stupefatto. "Nel Sussex? Ma dopo il bombardamento dello Stato Jihadista quel luogo è una terra brulla e inospitale. Non c'è niente a parte il nuovo aeroporto addetto al trasporto merci."

Stanford gli aveva fatto cenno di avvicinarsi, come se volesse confidargli uno dei suoi più oscuri segreti. "All'inizio pareva strano anche a me. Ma ho saputo da fonte certa l'ubicazione del rifugio di un gruppetto di Incompleti."

Cuore sul grillettoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora