CAPITOLO 5

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Il 221B di Baker Street era avvolto da un paludoso silenzio. La pioggia non aveva smesso di scrosciare e le nubi inghiottivano il firmamento cupo della notte. Soltanto il vecchio orologio a pendolo infisso alla parete osava spezzare quella pace innaturale.

Sherlock e John erano seduti ognuno sulle rispettive poltrone. Erano passati circa dieci minuti da quando erano saliti per parlare, ma ancora nessuno dei due sembrava veramente pronto: uno a raccontare e l'altro ad ascoltare. La verità si erigeva fra di loro come un muro. Un muro che li teneva distanti. Un muro che entrambi volevano abbattere.

Ma quant'era difficile la verità...

Fu un qualcosa di inaspettato a rompere definitivamente quella situazione di equilibrio: un tuono. Fragoroso, minaccioso come una fiera. La luce saltò improvvisamente e oltre al silenzio, regnò l'oscurità. Il buio li abbracciava nelle sue spire paterne, li cullava, li proteggeva. La verità non sarebbe risultata così devastante in quelle tenebre. Potevano farcela.

John si schiarì nervosamente la gola: era arrivato il momento. "Allora, da dove comincio?" Prese a tormentarsi le mani concitatamente. "Il segreto del quale non ho voluto parlarti l'altra sera... Ecco..." Un lungo e profondo respiro gl'infuse la forza di abbandonarsi alle parole, ai ricordi, di smettere di preoccuparsi per quello che sarebbe stato. Basta paura. "...Io gli Incompleti non li compatisco e basta: li aiuto. Ho rimediato una base nel Sussex: una vecchia fattoria scampata ai bombardamenti. E' lì che vado quando non sono impegnato all'ambulatorio; diciamo che è quella la mia casa."

Sherlock rimase in silenzio nonostante quell'ultima affermazione gli avesse procurato un senso di malessere inspiegabile.

"Lì accolgo gli Incompleti e li tengo al sicuro finché non riesco a farli espatriare tramite una rete di contatti miei e di Molly, la mia collaboratrice. E, bè, quella sera..." Il solo ricordo inflisse al medico una scarica di dolore. "...quella sera ho scoperto che un gruppo di loro che avrebbe dovuto imbarcarsi per Cuba è stato intercettato dalle guardie e..."

"Non serve, John. Ho saputo." lo interruppe Holmes con una leggera vena apprensiva nella voce.

"Già..."

Calò nuovamente il silenzio e in quella mistura di parole non dette e pensieri non espressi, a John sembrava quasi sentire il suo battito cardiaco risuonare ovunque, irradiarsi in tutto il corpo a ogni pulsazione del suo cuore scorticato.

"Da quanto tempo fai... quello che fai?"

La domanda arrivò a bruciapelo e inaspettata come uno schiaffo in pieno volto. Da quanto... Quando hai iniziato... Perché hai iniziato... Che cosa c'era prima... Chi c'era prima...

Quel capitolo della sua vita era una porta in corrente che continuava ad aprirsi e a sbattere senza controllo. Il suo passato sembrava così impalpabile in quel momento, così inspiegabile... Ma ormai era in ballo, tanto valeva ballare.

"Circa sei anni." rispose il medico piegandosi sulle ginocchia, come se la comodità non fosse adatta a quella storia. "Io... Ho fatto una cosa terribile, Sherlock. Una cosa che non riesco a scrollarmi di dosso." Arricciò le labbra prendendosi il tempo necessario durante il quale gli occhi di Holmes vagarono nell'oscurità alla ricerca dei suoi. "Ho fatto del male ad una persona che amavo con tutto me stesso."

Sherlock ricordò la foto e si sentì in parte dilaniare da quel bel sorriso e da quella frase così melliflua come la melassa scritta sul retro. Era quella donna. Era quella donna che viveva nelle parole di John, ne era certo. Presto, con il suo racconto, avrebbe preso forma, sarebbe tornata da lui, gli sarebbe stata accanto. Strinse inconsapevolmente il pugno sul bracciolo della poltrona, facendo sbiancare le nocche.

Cuore sul grillettoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora