•||CAPITOLO 1||•

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A volte bisogna fermarsi per ascoltare tutto quello che ci circonda.

I suoni della città, i clacson e tutti gli schiamazzi delle persone sono solo parte della mia vita.

Tutto il viavai della metropolitana, gli spintoni involontari e volontari, la lotta per i posti a sedere.

Tutte queste cose all'inizio paiono insignificanti. Solo quando ci vengono tolte diventa evidente la loro importanza.

Sono solita a sedermi ai piedi di quella quercia, sempre in quell'orario. Lontano da tutto questo, in un parco in periferia di San Francisco, dove il silenzio è tale da permettermi di udire le singole foglie secche cadere al suolo con un crepitio quasi impercettibile. È tale che riesco a sentire i miei pensieri, talmente nitidi che talvolta devo concentrarmi per non parlare ad alta voce, perché ciò che immagino deve rimanere nella mia mente. Chiuso. Sigillato.

Spesso mi addormento intorpidita dall'afa estiva che viene contrastata dal leggero venticello che dona subito un sollievo alla mia pelle surriscaldata. Ma è un sonno innaturale. Di solito sto con gli occhi socchiusi, semi cosciente, consapevole però della posizione in cui sono messa. Spesso è imbarazzante,magari con le gambe rannicchiate al petto, o con un cappello calato sugli occhi, ma non ho paura che qualcuno mi veda, perché nessuno passa mai di lì.

Per questo vado in quel parco.

Per stare finalmente sola con me stessa.

Per pensare ciò che non posso.

Per cantare, cantare con il vento, facendo sì che le mie parole vengano trasportate da esso e sussurrate nei boschi.

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"Mamma!" una bambina bionda, con dei codini che raccoglievano quei bellissimi boccoli e incorniciavano gli occhi grigio tempesta, correva incontro ad una donna di circa trent'anni con boccoli castani e occhi uguali alla figlia. "Annabeth! Bravissima!" la donna sorrise benevola. Si abbracciarono, la bambina minuscola in confronto alla madre. "Bruum! Un aereoplano!" esclamò la madre, facendola volteggiare mentre la piccola allargava le braccia per imitare le ali.
"Bruum! Bruum!" ripeté Annabeth, ridendo come una matta. Era felice.

Ecco che suo padre spuntò da dietro un albero. "Annabeth!" la chiamò. "Papà!" rispose la bambina. Attraversò il parco, sollevando una quantità di foglie gialle e rosse impressionante. L'autunno si era presentato: poche settimane prima il parco era pieno di alberi verdi, ora essi erano secchi e spogli.

"Vieni, Annabeth." disse papà,radioso, prendendole la mano. "E la mamma?"domandò lei. L'uomo esitò. "La mamma arriverà."

Si incamminarono  verso l'uscita, e , quando Annabeth si girò, la mamma era già sparita in un turbine di foglie.

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Mi sveglio di soprassalto.
Guardo il sole, quasi completamente nascosto dal crepuscolo. Terrorizzata afferro il cellulare con mani tremanti. Subito, sulla schermata di blocco compaiono ventitré chiamate perse da mio padre. Premo esitante sul tasto per richiamare.

"ANNABETH!" la voce spaventata di mio padre risponde forte e chiara dall'altro capo del telefono. "Scusami papà, mi ero addormentata." spiego, aspettandomi una bella sgridata non appena arrivata a casa.

"Fammi indovinare: sei di nuovo in quel parco!" esclama lui. Non rispondo. Purtroppo, chi tace acconsente.
"Ecco! Lo sapevo!"
"Papà, è solo un parco."
"È molto lontano da casa, Annabeth. È pericoloso."
"Papà, è solo un parco." ripeto. "Solo... Solo un parco? SOLO UN PARCO? SIGNORINA, FARAI MEGLIO AD ESSERE A CASA ENTRO DIECI MINUTI."

Preferisco chiudere la chiamata: mi basta e mi avanza la sgridata a casa.

Mi ficco con forza le cuffie nelle orecchie e mi avvio verso la fermata dell'autobus.

Subito dopo sono seduta su un sedile, guardando il paesaggio che scorre veloce in una massa indistinta di colori e luci.

Sento una pressione sulla spalla. Mi volto, e vedo una testa piena di capelli corvini appoggiata a me. "Grandioso." penso fra me e me. Cerco di sporgermi un po' in avanti per capire chi è.

Vedo una mascella pronunciata, occhi chiusi, bocca semiaperta, capelli scurissimi. Ah, e sento un inconfondibile odore di... Oceano.

Quell'odore che senti quando sei distesa in spiaggia, e una brezza si leva dal mare facendoti rabbrividire.

L'odore di dei bellissimi ricordi, quando mia mamma... Mi riscuoto dalla trance in cui ero caduta.

Quasi non mi accorgo che il ragazzo si è svegliato, e ora due occhi più verdi del mare più profondo mi stanno guardando.

"Ehi." dice lui, sorridendo e sollevandosi dalla mia spalla.

"Oh, Dio. Sono mortificata." mi scuso impacciatamente.

"Figurati, scusa se ti stavo penzolano addosso."

"Figurati." dico.

"Figurati." ripete il ragazzo.

"Mi stai facendo il verso?"

"Mi stai facendo il verso?"

"Ciao." sbotto. Quel ragazzo mi sta dando ai nervi.
"Ciao, ehm..."
"No."
"Be', io sono Percy, se ti può interessare."
"Bene. Ciao, Percy. Ci si vede in giro."

Non appena scendo dall'autobus sospiro, sollevata. Mi sono liberata di quel tizio.

Fisso il pomello della porta, pronta al peggio, ma quando busso mi apre una donna stupenda. Capelli neri, occhi verdi e la faccia pallida cosparsa di lentiggini.

"Buongiorno, lei è...?" mi domanda, cercando di essere cortese.

"Sono Annabeth Chase. La figlia del padrone di casa."

"Oh. Questo è... È piuttosto imbarazzante. Piacere, Esmeralda."

Le stringo con malavoglia la mano.

"La fidanzata di tuo padre."

ANGOLO AUTRICE

SALVE, SONO SEMPRE IO, QUELLA DISAGIATA!
ECCOMI IN UN'ALTRA FANFICTION.
PURTROPPO HO AVUTO PROBLEMI CON DEI VIRUS E HO DOVUTO FARMI UN'ALTRO PROFILO WATTPAD.

L'ALTRO MIO PROFILO È 'matysorry', HO SCRITTO UN'ALTRA FF.

GRAZIE!
~lafigliadiPosa💙

MINE ~percabeth.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora