"Tatto" o "Il groviglio"

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Tommy si rigirò nel letto, ansioso

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Tommy si rigirò nel letto, ansioso. Era la prima notte che dormiva su quel materasso nuovo e non si sentiva molto a suo agio. Tutto era diverso in quella stanza che aveva cambiato da appena un giorno, perfino le ombre buie dei mobili che si stagliavano sulle pareti.

I suoi genitori avevano insistito perché si spostasse in quella nuova ubicazione. Non tanto per sé stesso, quanto per suo fratello. Ormai aveva quindici anni e, parole di sua madre, "reclamava i suoi spazi". Che diavolo volesse dire, Tommy proprio non lo capiva. Gli lasciava sempre uno spazio sulla grossa scrivania su cui poter fare i compiti e gli armadi erano suddivisi equamente. Che spazi gli servivano in più?

Si era sorpreso ad odiarlo quando aveva sentito che doveva essere lui a trasferirsi nella vecchia dispensa, ormai inutilizzata e che fungeva da sgabuzzino. "Non ci vado", erano state le sue parole e Ben, suo fratello, lo aveva apostrofato in tono sprezzante: "Che c'è, hai paura dell'uomo nero?"

Così Tommy aveva dovuto farsi forza. In fin dei conti aveva undici anni e doveva incominciare ad essere coraggioso. Quale miglior modo di farlo se non fra le mura domestiche?

E così eccolo lì ora, a rigirarsi e a sbuffare parolacce, di quelle che non si dovevano dire, verso suo fratello Ben. Perché non c'era andato lui nel vecchio sgabuzzino? Le cose peggiori toccavano sempre a lui, sempre al piccolo Tommy.

Tirò su col naso mentre guardava il soffitto dipinto di blu stagliarsi fra le ombre cupe gettate dalla lucetta arancione, tenuta sempre accesa sotto la scrivania. Ben lo prendeva spesso in giro per quel misero led da due soldi ma Tommy voleva sempre vedere cosa c'era accanto a lui la notte, e non era tanto questione di paura o di "uomini neri" appostati nell'ombra, quanto il semplice evitare di andare a sbattere in giro. A maggior ragione se la stanza era nuova e non la si conosceva bene.

Mimò con le labbra la parola con la "v" seguita dal nome di suo fratello e sorrise mentre assaporava il suono che quella frase aveva nella sua testa. Assomigliava tanto a quando papà si arrabbiava al telefono coi venditori. Un risolino ribelle gli scappò dalle labbra e mosse con i piedi la coperta che si gonfiò come un pallone per poi tornare ad adagiarsi lentamente sulle sue gambe.

Si mosse a pancia sotto e chiuse gli occhi, si era fatto tardi ed era ora di dormire e smetterla di pensare a suo fratello e alla stanza nuova. Mentre muoveva la testa per trovare la posizione più adatta, sentì uno strascichio. All'inizio gli sembrò fosse stata la sua mano che inavvertitamente era andata ad accarezzare la federa del cuscino ruvida, ma quando si bloccò e trattenne il respiro sentì di nuovo il rumore.

Assomigliava stranamente a qualcosa di viscido, qualcosa che suonava maledettamente simile a uno scarico che viene sturato. Lo aveva udito fare tantissime volte a suo papà, ma non si sarebbe di certo messo a farlo nel bel mezzo della notte. Non poteva essere lui, non a quell'ora.

Cercò di sollevare la testa di qualche centimetro dal cuscino mentre con un fremito del basso ventre la vescica si contraeva in uno spasmo. Sentì che quella stretta poteva fargli bagnare le mutande e allora riabbassò la testa e strinse forte le gambe: una paura tremante si stava impadronendo di lui.

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