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"Guarda quanto è magra"
"Ma mangi?"
"Sei ammalata?"
"Non ti fai schifo?"
"Sei solo ossa"
"Sei pazza"
"Te lo meriti"
"Te la sei cercata"
"Non vedi come sei ridotta?"
"Non vedi come fai soffrire le persone che ti amano?"
"Vuoi morire"

Morire.
Chi non avrebbe paura di morire?
Lasciare questo mondo per sempre. Ciò che conosciamo, ciò che amiamo, chi amiamo..
Nessuno in realtà lo vorrebbe davvero.
Avevo visto un documentario una volta che parlava di un uomo che si era gettato da un ponte.
Semplicemente un giorno, dopo tanti mesi di depressione, aveva capito di non avere più alcuna via di uscita e aveva deciso di gettarsi tra le gelide acque del fiume che scorreva a pochi passi dalla sua città.
Era sopravvissuto alla fine quel uomo. Qualcuno lo aveva visto sporgersi dalle barriere protettive e contemplare il cielo un istante  prima di gettarsi nel vuoto. 
I soccorsi erano arrivati subito e lo avevano estratto vivo dall'acqua dandogli una seconda possibilità.
La cosa che mi aveva colpito di più erano state le sue parole durante l'intervista.

"Nel momento esatto in cui ho preso il volo ho capito tutto. Ho capito che ogni cosa aveva una via d'uscita, avrei potuto sistemare tutto quanto, ma non quello che stavo facendo in quel preciso istante. La  morte non aveva rimedio e lì mi sono accorto di non voler morire"

Nemmeno io volevo morire.
Me lo avevano chiesto tutti. I miei genitori, i miei amici prima che smettessero di parlarmi, gli insegnanti, il mio psicologo..
Se avessi voluto morire davvero avrei preso una lametta e l'avrei fatta finita al posto di prolungare quella lunga agonia per tutti quegli anni.
Io non volevo morire, non volevo essere magra, non volevo piacere alla gente.
Io non sapevo cosa volevo, ma sapevo benissimo cosa invece non mi andava di fare.
Non volevo mangiare.
Avevo bisogno di non mangiare, avevo bisogno di controllare il mio corpo. Ogni centimetro che se ne andava o che tornava a contornarmi le ossa.
Avevo bisogno di controllare le calorie che mettevo giù nella pancia e avevo bisogno di controllare l'attività fisica che facevo giornalmente.
Niente di grave, nella maggior parte dei casi. Anche le persone che volevano stare in salute contavano le calorie che ingerivano così come i bodybuilder o la vicina di casa che aveva appena avuto dei gemelli.
Ma la mia non era solo voglia di essere in forma.
La mia era una patologia e io lo sapevo bene.
Me lo ripetevano da anni, da quando ero entrata in quel tunnel fatto di vomito e giramenti di testa.
Fatto di lacrime e perdite.
Avevo perso tutto, non solo il peso. 
Avevo finito il liceo per un soffio prendendomi una pausa dagli studi per riuscire a rimettermi in sesto. 
All'epoca stavo male, ma non ero ancora andata così a fondo.
Saltavo i pasti, lo facevo ogni volta che mi si presentava l'occasione. 
Cercavo assiduamente di mangiare il meno possibile e ogni qual volta ingoiavo qualcosa di troppo, o meglio, qualcosa che io ritenevo troppo, andavo in bagno a mettermi due dita in gola per rimuovere ogni cosa.
All'inizio avevo acquistato popolarità.
Ero leggermente sovrappeso e quando avevo iniziato a dimagrire avevo ricevuto complimenti da tutti quanti.
I miei compagni avevano iniziato a trovarmi carina, le mie compagne ammiravano le mie gambe dimagrite.. Persino i miei docenti si erano complimentati dicendomi che stavo davvero meglio.
Non importava se avevo perso oltre dodici chilogrammi in un mese.
Non importava se ogni volta che mi alzavo in piedi vedevo bianco e dovevo aggrapparmi a qualsiasi cosa per non finire in terra.
Non importava se non mi era arrivato il ciclo.
Ero magra e magra significa bella.
E sentirsi bella, sentire di avere il controllo, significa volerne sempre di più.
Mai abbastanza magra, mai abbastanza bella, mai abbastanza per nessuno, soprattutto per me stessa.
Ne avevo abbastanza ora mentre i jeans mi ricadevano larghi sui fianchi ormai inesistenti?
Ora che le caviglie avevano lo stesso spessore del braccio di un bambino e ora che le costole tentavano di bucarmi la pelle per uscire?
La realtà era che non bastava mai.
Non bastavano i ricoveri forzati, le lacrime, gli schiaffi..
A me non bastava niente.
Non volevo morire, volevo solo avere il controllo su me stessa. Sul mio corpo.
Volevo mettere a tacere tutte quelle voci che mi dicevano di smetterla, di mangiare, di provarci..
Volevo solo essere lasciata in pace.

"Isa, è pronta la cena scendi."
Sbuffai mettendo la testa sotto il cuscino.
Cibo, calorie, lacrime..
Ogni giorno la stessa storia da quando ero tornata a casa.
Ogni giorno la stessa lotta.
"Isa, scendi subito. Non farmi salire a prenderti"
Era inutile cercare di non ascoltarli. Era inutile non scendere. Sapevo benissimo come sarebbe finita.
Erano stati chiari. Se volevo rimanere a casa, dovevo mangiare. Altrimenti mi avrebbero sbattuta di nuovo in clinica.
Mangiare significava vomitare.
Vomitare significava vedere mamma con gli occhi gonfi di lacrime e papà che incazzato sbatteva la porta andandosene.
Era un incubo.
Volevo solo essere lasciata in pace.
Volevo soltanto non sentire più nulla.

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