Capitolo 1.

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Natale. Una parola di sei lettere cariche di amore, gioia e serenità, che lasciano soprattutto un retrogusto di appagamento. Tutta la pazza e festosa famiglia è riunita intorno a un tavolo, mentre una sfilza di pietanze che soddisfano ogni tipo di palato continua a uscire, ancora fumante, dalla cucina. Gli uomini fischiano in maniera cavernicola, cercando invano di elogiare il lavoro culinario delle proprie mogli.

Una decina di bambini euforici che con un girotondo circondano l'albero di Natale, impazienti per l'apertura dei regali. Sui rami verdi di quest'ultimo ecco quei gretti lavoretti natalizi delle scuole elementari, in cartapesta o in plastica, che i bambini hanno sapientemente preparato, sotto la supervisione delle loro adorabili maestre zitelle. E non sia mai che per le mamme di questi bimbi prodigio, che in confronto Antonio Canova era un novellino, non ci sia un posticino libero nell'alberello per mettere in mostra le loro opere d'arte.

Giù in strada fasci di lucette colorate e vibranti, illuminano anche i vicoli più bui della città, riscaldando con il loro bagliore la fredda e pungente aria invernale.

Nel cielo sale il fumo delle caldarroste ancora bollenti e scoppiettanti, mentre la gente cerca di farsi spazio tra la folla per riuscire ad accaparrarsi i migliori regali a prezzi stracciati.

Le litigate vivaci per chi per primo è riuscito a fare ambo a tombola e vuole ricevere il premio in monetine, lo scrocchio delle noci appena sbucciate mentre stai per tirare il tuo asso di denari a briscola.

Ecco, questo è il Natale.

Beh, dimenticate tutto ciò, perché da che io mi ricordi, durante la mia breve vita non ho mai passato un Natale del genere.

Abitare in un paesino sperduto che dista una decina di chilometri da Taormina, non è certo il posto ideale per trascorrere questa festività, specie se ci aggiungi una madre scapestrata, un padre depresso e un nonno in preda a una crisi di terza età.

Le sole luci colorate intermittenti presenti in paese erano quelle collocate sui busti delle quattro querce secolari che segnavano gli angoli dell'unica piazzetta.

Quei pochi negozi di giocattoli, abbigliamento per bambini e calzature, facevano affari solo in quel periodo dell'anno visto che le persone più anziane non avevano possibilità di spostarsi nelle città limitrofe per acquistare regali ai propri nipoti. Inutile negare che i negozianti marcissero sulla situazione e alzassero notevolmente i prezzi ai danni di quei poveretti che non avevano mezzi per arrivare in città.

Il Natale per me era diventato il giorno più angosciante dell'anno. Mentre per tutti i miei amici era un'occasione per evadere da quell'opprimente paesino in cui vivevamo, per me era un giorno peggiore degli altri.

Da quando i miei genitori si erano separati, mio padre era caduto in un vortice di depressione. L'unico pensiero che riuscisse a farlo alzare dal letto ogni mattina non ero io, ma il suo lavoro. Non che non mi volesse bene, ma vedeva il suo mestiere di imprenditore a Giarre come un mezzo di distrazione.

Impegnarsi a terminare i progetti dei suoi clienti gli permetteva di rimandare i propri. Così alleviava il dolore, rendendo soddisfatti gli altri. Mentre invece quando stava con me e mi guardava dritto nel profondo degli occhi rivedeva quelli di Darla, la sua ex moglie.

Era imprigionato in una palla di vetro, come quelle che si vendono nei mercatini di Taormina e che comprano i turisti stranieri come souvenir. Ma al posto del teatro antico o palazzo Corvaja, dentro quella sfera, lui era incarcerato nella fortezza dei suoi ricordi.

Il 24 e il 25 dicembre, per lui, erano due giorni soffocanti.

La casa in cui prima viveva con la sua amata, ora era diventata come una camicia di forza. Per di più essendo giorni rossi, tutti erano in ferie, di conseguenza non poteva nemmeno recarsi a Giarre per buttarsi a capofitto sul lavoro.

Non giurare sulla lunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora