~Capitolo 4~

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Pov. Rose

Ognuno di noi ha due facce. Ho sempre pensato di avere un viso di un angelo ma L'anima di un diavolo.
Ma ero una figlia perfetta. Credevo di non aver mai superato il confine del proibito.
In tutto ciò pensavo male, ero un angelo a tutti gli effetti.

Diciannove anni compiuti da poco. Molte mie coetanee sembravano già donne vissute, mentre io sembravo solo una bambina, che ancora non conosceva il pericolo e il vero odore della vita.

Era metà luglio, e gli studi li avrei ripresi ad ottobre, alla Princeton.
I miei erano orgogliosi, ed io lo ero di loro.
Sarei partita domani , con Thomas, benché i miei credevano che sarei andata con Lucy e Khaterine.
Non ero solita a mentire ma mio padre era geloso della sua unica figlia femmina, e mia madre sicuramente si sarebbe fatta scappare ogni singola cosa. Poiché come diceva lei, lui aveva i suoi "metodi" ed io ogni volta cambiavo discorsi divenendo porpora.

Sia chiaro che non ero una Santa, ma parlare di certe cose mi faceva uno strano effetto. Forse era perché ero ancora pura, e forse Thomas sarebbe stato il primo.
Stavamo insieme da solo due mesi, ma infondeva una sicurezza che spazzava via le mie paure.
Tutte le mie amiche l'avevano già svenduta, come se ad aspettare fosse diventata un fossile.
Io aspettavo quel brivido caldo e bruciante, che mi avrebbe trasportata nel paradiso della lussuria.
Non mi ero mai toccata neanche da sola, anche se molte mie amiche mi davano consigli, e che avrei provato piacere e la scoperta del mio corpo.
Non ci riuscivo. Molto spesso avevo provato ad avvicinare le mie dita esili, ma poi le sfilavo e mi vergognavo di ciò che avrei potuto fare.

Mi issai dal comodo letto, sentendo i raggi del sole, scaldare dolcemente il mio corpo, per riprendermi dal torpore.
Passai le dita tra le ciocche castane disordinate, che mi facevano sembrare un nido confortevole per uccelli, avviandomi verso il bagno.
Era comodo averne uno in camera propria, senza dover passare dalla stanza dei miei genitori.
Chiusi la porta scorrevole, con un cigolio basso, aprendo il rubinetto che iniziò a gocciolare ritmicamente, e radunai le mani a coppa, palmo contro dorso, chinando appena il busto, per sciacquarmi il viso e sentire la freschezza delle gocce perlate, colarmi lungo il volto ovale.
Tamponai delicatamente il viso con un asciugamano rosa, con la mia iniziale ricamata sopra.
"R" di Rose. Sapevo perché mi avevano chiamata così. I miei genitori avevano due rose tatuate. Mio padre lungo il pollice della mano destra, compreso lo stelo e le spine, mentre mia madre ne aveva una sulla caviglia con la scritta -Strong-.
Avevo ascoltato la loro storia miriadi di volte, e come sempre ne rimanevo affascinata, dal modo in cui mia madre con i suoi occhi verdi lucidi la spiegava, davanti ad una tazza fumante di ginseng e biscotti ripieni di crema.

Sognavo un'amore così travagliato, ma che supera mille ostacoli. L'amore vero arriva ovunque. Non esiste nulla che lo possa impedire, perché lui è più forte.

Alzai lentamente lo sguardo verso lo specchio ovale, con i contorni fatti a mosaico blu, ammirando i miei occhi grigi, gli stessi di mio padre, come le labbra carnose. mentre di mia madre avevo preso il naso piccolo ed aggraziato e i capelli castani e fini come filigrana.

Disinfettai attentamente la pallina del piercing, nascondendola nella tasca dei jeans.
I miei non sapevano questa mia furbata. Ma non bevevo e non fumavo altro oltre il tabacco, almeno qualche sfizio dovevo togliermelo.
All'inizio era stata dura mantenere il segreto.
Mia madre credeva che stessi praticando una dieta a base di gelato, quando in realtà mi sarei mangiata anche le tegole del tetto.
Ma mi ero abituata poi a sentire quella pallina fredda, al contatto con la lingua morbida e calda. Era una sensazione piacevole.

Scesi giù in cucina, a passi flebili, allacciandomi il cinturino di cuoio dei sandali, trovando mia madre intenta a preparare il caffè e l'odore spandersi dolcemente tra le mura candide. Molteplici foto di noi a ricoprire le pareti, e quelle di mio nonno.
Lo avevo conosciuto poco, ma da ciò che mi aveva detto mia madre era un uomo fantastico, mentre di mia nonna non aveva mai accennato nulla, se non che era morta in un'incidente d'auto.

"Rose, fame?" Domandò dolcemente, girandosi dalla mia parte, e stringendosi la vestaglia turchese di seta.
Sapeva ormai che quando sgusciavo fuori dalla mia stanza era perché il mio stomaco iniziava a tirare calci come se avessi avuto un pargoletto all'interno.

Annuii con la testa, vedendola sorridermi con le labbra incurvate lateralmente, e prendere dal mobile di legno, i cereali ed una tazza per riempirla di latte.

"Partirai domani" affermò con tono afflitto, sedendosi vicino a me, sullo sgabello bianco, portandomi una ciocca di capelli, dietro l'orecchio in modo delicato, mentre la fissai amorevole.

"Starò via un mese mamma, non cadrà il mondo, e sopratutto sarò con le mie amiche" mentii sull'ultima parte, cercando di usare un tono convincente, e la notai annuire come a darmi ragione.

"Promettimi che mi chiamerai sempre, ad ogni ora" mi raccomandò, sorseggiando il caffè dove notai la nube elevarsi in aria.

Deglutii i cereali al cioccolato, oscillando la testa.
"Ti chiamerò. Promesso" annunciai e la rassicurai veritiera, sbilanciandomi con il busto verso di lei, per avvolgerla con le braccia esili in un abbraccio tenero.

Avevo passato l'intera giornata su i libri. Avevo una scaffale pieno. Adoravo leggere, ed in qualche modo mi trasportavano in un mondo diverso. Mi vestivo dei loro panni e provavo gli stessi brividi.
Non che con Thomas non li provassi, ma era...diverso, ecco.
Sentii la vibrazione potente del telefono, sul comodino bianco, e allungai il braccio per prenderlo.

Da Lucy

-Stasera al Matador, ci dobbiamo salutare come si deve!

Sorrisi e mi morsi il labbro. Lucy era una delle mie più care amiche insieme a Katherine. Sapevano della mia bravata, e in parte mi appoggiavano anche se erano sicure che Thomas non fosse il ragazzo per me.
Preparai in fretta il borsone, buttandoci all'interno delle maglie e dei pantaloni. Due vestiti corti per qualche occasione insieme ad un paio di decoltè nere lucide, rubate dalla scarpiera di mia mamma.

Raccolsi frettolosamente i capelli castani in una coda alta e scomposta, infilandomi una felpa grigia con il cappuccio, e un paio di leggings. Sapevo che non mi avrebbero fatta uscire con roba indecente, perciò avvisai Lucy di portarmi qualcosa di carino e possibilmente non volgare.

Salutai mia madre per l'ultima volta, guardando le sue gemme verdi piene di apprensione, e diedi un bacio scoccato sulla guancia ruvida a mio padre, che mi allungò delle banconote.
"Rose ti prego di stare attenta" si raccomandò soave ma mantenendo il suo tono duro che gli apparteneva, potendo rispecchiarmi in quegli occhi grigi come nubi, mentre mi morsi l'interno labbra annuendo.

"Vi chiamerò appena arriviamo a New Orleans. Fidatevi" li supplicai quasi, di fidarsi di me, anche se stavo mentendo, e potevo sentirmi in colpa.

Annuirono, racchiudendoci in un abbraccio a tre, mentre mi sciolsi ed inalberai la mano per salutarli e richiudere la porta oltre le mie spalle con un tonfo dolce.

Attraversai le strisce bianche, per andare sul marciapiede, quando il suono rimbombante di un clacson mi portò a trasalire.
Guizzai lo sguardo sul punto da dove veniva, e vidi il lampione, illuminare la pazza di Lucy e Katherine sul lato del passeggero, salutarmi con la testa fuori dal finestrino e sventolando il braccio pieno di charme, alzando la musica R&B a tutto volume.

"Pazze" urlai alzando il tono, che mi fece quasi sgolare e pizzicare la gola, per sovrastare la musica, mentre mi misi a correre ed aprii lo sportello posteriore per gettare il borsone ed accomodarmi sul tessuto del sedile nero a cuori rosa.
Aveva riverniciato la macchina di fucsia ed anche il volante era in pelle rosa schocking.

Le notai voltarsi, con il volto sporgente dai sedili anteriori, mentre Katherine biascicava rumorosamente là chewing-gum divenuta sicuramente mattone sotto i denti.
"Pronta per l'ultima serata tra ragazze?" Chiese Lucy facendomi un occhiolino d'intesa, e mi alzai per tirarle una debole pacca sull'avambraccio.

"Tu che dici?" La ripresi maliziosa, vedendo Katherine emettere un "uh uh" sorpreso, e Lucy dare più gas del dovuto, facendo ruggire la macchina e sgommare partendo sull'asfalto liscio.

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