Ho conosciuto Juliette una mattina di qualche estate fa. Il lavoro andava a rilento, quasi sonnacchioso, poche cose da fare, poche notizie da cercare con tutti che si preparavano per le vacanze. Quei giorni di fancazzismo dove sembra di essere infilati nel mondo arabo dove tutto è rarefatto, dove il sole accieca e annulla ogni volontà, ogni desiderio, aspettando solo l'arrivo della notte. Un giro in chat, un salto per vedere chi c'era, per vincere la noia del momento. Il suo nome mi aveva colpito subito, quel nome ostentato che tanto ricordava la Justine di De Sade. La domanda fu naturale, forse anche troppo ironica: sei tu la mia Justine? Tutto nacque da quella frase così banale, così semplice. Mi sarei aspettato una risposta scortese, un rifiuto e la chiusura della finestra del dialogo ed invece Justine usò il tono ironico della risposta. il gioco per continuare a giocare. Parlammo per quasi due ore, come se tutto fosse spontaneo, come se ci fossimo già parlati, come se avessimo già avuto un contatto che ci permetteva quell'intimità. Juliette, questo il suo nome, era attratta dal mondo del SM, fantasie, solo fantasie che animavano il suo immaginario, fantasie alle quali ricorreva per avere il suo piacere. Leggeva De Sade, lo amava, inseguiva il sogno di Juliette, ne diventava lei stessa l'interprete. L'ascoltavo, chiedevo, correggevo un pensiero, aumentavo la fora di una parola o diminuivo il valore di un'altra. Era il dialago di due persone che danzano sulle parole.
Ventidue anni, ottima famiglia, una bellissima ragazza (lo averi scoperto solo in seguito questo particolare ma permettetemi di non anticipare altro e di lasciarvi guidare con lentezza nella storia), intelligente, voce dolcissima e all'oscuro di ciò che era il piacere che il sesso potesse regalare. All'oscuro del tutto proprio no. Non riusciva a sentire l'orgasmo con un uomo, con un coetaneo, con il suo fidanzato. Ed era così bambina e disincantata che lo confessava con un candore disarmante. Lei che desiderava così tanto il piacere da un uomo non somigliava per nulla alla sorella gemella, ben più spudorata e spregiudicata. Una sorella gemella che era il suo opposto, due forze contrastanti che esprimevano passione e dolcezza, perversione e delicatezza, strafottenza del mostrarsi e pudore dell'essere.
Juliette, per uno di quei fatti straordinari che solo il destino sa cucire addosso alle persone, era universitaria e viveva nella mia città, in un appartamento che i suoi le avevano acquistato. Lo scambio delle email, il ritrovarsi in chat, il confidarsi i numeri dei cellulari fu l'avventura costruita in rapidissima cadenza che in meno di due giorni ci aveva portato ad accelerare il desiderio. In quel periodo Justine aveva messo a nudo i suoi desideri, li aveva fatti fermentare per renderli, da semplice mosto ad ottimo vino, le mie parole erano state lievito delle sue fantaie. Avevo sorriso quando lei stessa mi aveva detto posso dire che sei il Padrone? Risposi sorridendo e con la sorpresa addsso: e io posso dire che tu sei la mia piccola schiava, Justine?
Un patto c'era stato tra noi. Mai incontrarsi, mai vedersi. Perchè lo avevamo detto? Non lo ricordo nemmeno più, forse per una sorta di tranquillità, di sicurezza che lei chiedeva e pretendeva nell'andare avanti nella nostra relazione di schiava e padrone. Lei non aveva nessuna esperienza, solo fantasie, solo tenere fantasie da accarezzare. Un desiderio, un sogno, ma mai la volontà di viverle.