Nelle sue fantasie ce ne era una ricorrente. Il collare. L'essere legata, essere proprietà di un padrone, essere la sua femmina e schiava obbediente. Ne parlavamo spesso e quelle parole erano eccitazione pura per lei. Non era un collare che sminuiva, che toglieva, era un simbolo di appartenenza, era il riconoscere sono tua, era il sapere come io la volevo mia, come la sentivo mia, la mia appartenenza. Ed ecco che un giorno, dopo che ne avevamo vissuti la bellezza di trecentoquarantadue, senza smettere di sfiorarci con le parole posso pronunciare la frase che lei aveva sempre desiderato: "Juliette ho un collare per te". Anzi non un semplice collare, ma "il Tuo collare". L'emozione era nelle sue parole, nel desiderio di averlo, possederlo, sentirlo stretto al collo. Una serie infinita di domande, come è, di che colore, quando lo hai fatto, come lo hai fatto, che profumo ha, morbido, altro, stretto...
La promessa era non vedersi mai, e come fare a consegnare il collare, a vederlo indosso a lei, al suo collo? L'idea era lasciare il pacchetto in un posto che lei frequentava, un pacchetto anonimo solo per concedere a lei il piacere. Ma sarebbe stato solo per lei, protestava, lo dovrei mettere da sola, guardarlo da sola, sentirlo addosso da sola. Oppure, oppure quel cinema del centro, piccolo e solo con prenotazione dove proiettavano film d'essai. Lei seduta davanti a me, io nella fila subito dietro. In questo modo le avrei potuto far indossare il collare, lei non si sarebbe girata, io non avrei cercato di scoprire il suo volto sarebbe stato perfetto. Una piccola meravigliosa follia, avrebbe avuto i capelli raccolti in alto, in modo da mostrare la perfezione del collo, lasciarmelo ammirare e guardare prima di cingerlo con il collare. Toccarlo, sfiorarlo, volerlo. L'eccitazione aumentava in lei e l'idea era stata accettata, l'orario e il giorno fissato, persino la prenotazione, lei il posto 11 della fila 5 io l'omologo della fila 6. Non c'era mai nessuno allo spettacolo del primo pomeriggio, ancora di meno in quelli di una estate avanzata con la città che si era svuotata e con i pomeriggio cotti dal sole inclemente. Lo scambio sarebbe avvenuto così, senza vedersi, solo il tempo di metterle il collare, di lasciarla attendere il gesto, di farle provare i brividi della follia di avere il collo scoperto e offrirlo, di lasciarla aspettare la mia voce che l'avrebbe salutata e che le avrebbe annunciato: Juliette, ti sto mettendo il Collare, il Tuo Collare. Una medaglietta in oro con il suo nome e con una semplice frase: "solo la mia obbedienza". Avevo trascurato la descrizione di foggia, materiale e colore, lei sapeva solo che profumava in modo delizioso di cuoio. Solo questo.