La chiamai da sotto casa sua e lei mi indicò il piano.
-Il quarto della scala B. La porta di casa sarà socchiusa e io sarò al buio completo, come tu mi hai ordinato.- Disse chiudendo la conversazione. L'ascensore saliva piano, non come la mia emozione. Nel corso degli anni avevo imparato a dominare le mie emozioni. Gelosia, paura, ansia, fretta, accatastate in un angolo della memoria, usate per essere vantaggio, mai come debolezza. Quella ragazza, quel corpo acerbo di ragazza suscitava in me l'emozione come se fossi stato un Master al suo primo appuntamento. L'ascensore mi cullava, lo specchio rimandava la mia immagine per farmi rileggere tutte le emozioni che scorrevano nei miei occhi, senza tralasciarne nessuna. La porta era socchiusa, come aveva detto Juliette. Lei era lì davanti alla porta in mezzo al corridoio illuminata dalla luce che proveniva dall'uscio. A quattro zampe, nuda, bendata da un foulard rosso che le fasciava gli occhi e mostrava il suo culo, sodo, rotondo, perfetto. Visione di dolcezza, di appartenenza, di perversione. La porta aperta rischiarava quel corpo, lo esaltava, potevo vedere la pelle chiara e fresca della sua giovinezza, un corpo tornito, modellato, curato, nudo ed offerto. Esposta per un uomo che nemmeno conosceva, per un uomo che nemmeno sapesse chi fosse. Nuda e inerme di fronte ad un uomo che poteva essere chiunque. Un pazzo, un maniaco, un folle, un disgraziato che poteva approfittarsi di lei, farle del male, abusarne di quel corpo, senza nemmeno chiedere il permesso. Ma lei era questa l'emozione che voleva provare, che desiderava. Voleva se tirsi l'anima salire da dentro e strozzarle la gola, le emozioni di piacere e paura che si legavano insieme, che si attorcigliavano come filo spinato, bagnata fradicia di quelle emozioni e tormento.
Chiusi la porta e accesi la luce. Lei era davanti a me, la dominavo con la mia presenza, immobile, stringendo i denti per quel piacere che provava. La mia mano iniziò ad accarezzarla piano, senza dire una parola. Solo carezze che percorrevano il suo corpo. Il corridoio era abbastanza largo e c'era un bellissimo parquet sul pavimento, scuro ed opaco che sembra assorbire il colore della pelle di Justine. Le pareti bianche interrotte da due applique azzurre con alcuni quadri alle pareti. Mi fermavo ad osservare i dettagli, come a volermi chiedere come vivesse in quella casa Justine, come fosse la sua quotidianità, il suo essere presenza senza di me.