✒La banalità del male

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"Piangerò finché non avrò più lacrime,

per poi rialzarmi, lottare,

e rinascere dalle mie ceneri."



Il cielo si estendeva fosco e nebbioso sulla città di Varsavia.

Le strade erano pressoché deserte, ed, in quell'innaturale silenzio, erano ben udibili i rari sussurri , increduli o rassegnati, di chi ancora non era rincasato e si affrettava a raggiungere la propria dimora e la propria famiglia.

L'umore della gente era schiacciato al suolo, totalmente demolito: chiunque si rendeva conto di come, quel giorno fatale, non fosse che l'inizio dell'inferno, eppure lui era già crollato.

Ad appesantire gli animi della popolazione, perseverava lo straziante lamento di un ragazzo, seduto sugli sconnessi gradini di una casetta in rovina, proprio sul retro di uno dei più prestigiosi palazzi della capitale polacca, che rimbombava per stradine e vicoli ormai da ore, e non sembrava propenso a cessare.

Feliks ᴌukasievicz era la personificazione dell'intera Polonia: era considerato, dal suo popolo, al di sopra di qualunque autorità, ed era onorato ed elogiato quasi al pari di una divinità. Nonostante fosse una Nazione, ed immortale, in quanto tale, era come idealmente imprigionato all'interno di una teca di vetro, come se fosse a chiunque negato persino il permesso di sfiorarlo. Eppure Feliks aveva da sempre combattuto per mantenere rapporti con la sua gente: Polonia amava il proprio popolo più di ogni altra cosa appartenesse a quello sciagurato mondo.

Anche se ancora relativamente giovane ed ingenuo, per quanto possa considerarsi giovane una Nazione secolare, Feliks aveva già sofferto tanto, e vissuto abbastanza a lungo da rendersi conto di quanto crudele fosse il mondo che lo circondava, così come tutto ciò che su di esso aveva preso vita.

Non si stupì, dunque, del fatto che, durante quelle ultime ore, gli fosse stato inferto più dolore dai suoi connazionali, fino a poco tempo prima tanto devoti alla loro patria, che dagli spietati nemici dai quali si trovava accerchiato.

Chiunque passasse di lì non faceva che piantare una freccia in più nel cuore, già a pezzi, del biondo Polonia. Si era visto sputare addosso, sferrare calci violenti, pugni in faccia, ed i più pesanti, spregevoli insulti che potessero uscire da labbra umane. Fin troppe volte i suoi verdi occhi, colmi di amare lacrime, avevano visto mamme trascinare i propri bambini lontano da lui e sussurrare di come quel criminale dal volto angelico avesse condotto la loro famiglia ed il loro intero paese alla rovina.

"Tu, lurida, vile canaglia, hai lasciato sprofondare la nostra nazione nell'abisso! Non hai il diritto di crogiolarti nelle lacrime!" aveva esclamato un uomo burbero, con la pipa in bocca ed una fiaschetta di vino tra le mani. Feliks non aveva osato controbattere e, lasciando che l'uomo gli assestasse un doloroso colpo sulla spalla con il tozzo stivale polveroso, si era trascinato, soffocando gemiti straziati, fino all'ombroso angolo della scalinata.

"Hai fatto in modo che i nostri figli possano avere un glorioso futuro di ingiustizie e sottomissione!" sentiva rimproverarsi.

"Non meriteresti altro che l'Inferno!"

"La nostra amata patria è perduta, caduta sotto il dominio straniero, ed il responsabile di questa miserabile sconfitta sei solo e soltanto tu!"

"Brucia sul rogo, una volta e per sempre!"

Nessuno sembrava rendersi conto del fatto che la propria amata patria si trovasse proprio di fronte a lui, derisa, umiliata, ricoperta di sputi ed insulti, fatta a pezzi più dalla sua stessa gente che da chiunque altro... almeno fino a quel momento.

Feliks era troppo provato e sconvolto per riflettere su cosa sarebbe potuto accadere di lì a poco, ora che la sua Nazione era caduta sotto il dominio nazista.

Da quel fatidico giorno, primo settembre 1939, l'avanzata tedesca fu rapida e distruttiva. Una fitta pioggia di bombe oscurava il cielo della capitale e, violentemente, si abbatteva su di essa, avvolgendola in una fitta coltre di fumo e ceneri, quasi rendendola una prigione invalicabile di morte e devastazione.

Polonia aveva combattuto allo stremo, resistendo con tutte le sue forze in quell'infernale massacro, cercando di scongiurare il peggio, la rovina per la sua Nazione.

Era caduto.

Non si era rivelato in grado di tenere testa a quella perfetta, impeccabile macchina della morte che era l'esercito tedesco.

E, come ultima speranza, sebbene quella speranza si affievolisse sempre più negli animi del suo popolo, aveva scongiurato Ludwig, pregandolo con tutto se stesso. Lo aveva implorato, con ferrea volontà, di risparmiarlo, ma non per se stesso, per tutto il resto: la sua gente, il suo Paese, tutto ciò a cui teneva ...

Ma Germania non era più colui che era stato un tempo: aveva perso la ragione, aveva perso ogni ragione, e aveva torto su tutto. Torto marcio.

Feliks non aveva mai provocato il suo nemico, in nessun modo, né lo aveva guardato, fino a quel momento, come un vero e proprio nemico. Erano ben altre le preoccupazioni della nazione polacca e, le più pressanti, provenivano da Est, eppure Germania pareva andato fuori di testa, totalmente, e Polonia era stato troppo debole, incapace di far fronte a tanta folle ossessione.

Ed ora, in balia dell'agonia della sottomissione, dell'umiliazione e del rimpianto, il giovane Feliks ᴌukasievicz piangeva, senza avere la forza di reagire, implorava aiuto, non importava da dove esso potesse giungere ed urlava dal terrore al pensiero del suo più oscuro incubo, ciò che tanto aveva temuto, che lo aveva costretto a passare interminabili notti insonni scrutando verso Oriente, attraverso il vetro della finestra, nel buio più fitto di ore senza luna, sudando freddo tra i candidi lenzuoli sfatti: Russia stava trionfando sul fronte orientale.


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Angolo "FATE LARGO PLEBEI, LA MAGNIFICA ME E' TORNATA!"


Ed è qui che giunge una domanda legittima: "Oh, Giuls, perchè non aggiorni le altre storie prima di scriverne una nuova?"

E la tanto attesa (seeh, infatti) risposta è...: "Perchè io scrivo quello che voglio, quando voglio, come voglio, JAAAA!"

No, occheeeei, a parte tutto... NON HO ISPIRAZIOOOONEEEE LALALALAAAA per quella Eeeeeeereriiiii quindi niente, to', l'ho scritta, leggete 'sta roba, ordine del dottore (!).

Non so quando aggiornerò.

Non so quanto sarà lunga.

Non so quando mi scoccerò di spulciare libri di storia degli anni '90 (?) e lascerò perdere.

Ma...

Per favore...

Per pietà...

Datemi una ragione per continuarla perchè come fin'ora sta venendo questa storia mi piace davvero davveeeeero tanto (ho scritto altri capitoli oltre a questo... tanto per dire... non sono mi sono fatta di oppio (?)... non la giudico in base a 'ste quattro righe ehhh).

GoOd.

Me ne vado.


-Giuls


1 Settembre 1939Where stories live. Discover now