Il primo rintocco
Carnagione pallida, livida e fredda, labbra violacee, petto immobile e dita sottili congelate dal freddo fatale che aveva sovrastato con prepotenza il tiepido calore di quelle membra.
Ciò che avevo davanti a me non era altro che me stessa, riflessa nel gelido specchio della morte.
Piú nulla di quel corpo era pervaso di vita: né le dita, né gli occhi, né le labbra, né il cuore.
Quella figura giovane ed energicha era bloccata da una morsa irremovibile, gelida, ma non dolorosa.
Infatti, sebbene il velo della morte si fosse adagiato su di lei come un candido manto di neve, su quel volto pietrificato era disegnata un'espressione cosí pura, cosí serena."Non deve aver fatto male"
Pensai, catturata non di mia volontà da quel riflesso senza vita.
Una lacrima mi solcó le guance, ma non avvertii il calore del pianto che subito mi strinse il cuore, disperato, ed io... incapace di comprendere di essere davanti a me stessa, alla realtà.
Ma non era quello il riflesso che desideravo vedere ardentemente, bensí quello che giace nel vetro di uno specchio.
Lei teneva uno specchio tra le dita congelate.
Lí dovevano trovarsi tutte le risposte.
Il tremolio che aveva catturato le mie membra si fece sempre più intenso, sino a divenire un irrefrenabile fremore. Sfiorai il manico d'argento, impreziosito da decori floreali, e ancora una volta non avvertii il freddo del metallo prezioso. Tremavo, fremevo di angoscia, poiché non potevo immaginare cos'altro sarebbe potuto accadere quel giorno.
Il vetro rifletteva la debole luce proveniente dall'esterno mentre si avvicinava sempre più al mio viso.
Avrei visto io mio riflesso?
Se si forse quello era solamente un sogno, un incubo?
E se non fosse stato così?
Mille pensieri ed emozioni pervadevano ed infangavano la mia mente, esortandomi prepotentemente a specchiarmi nella trasparenza della realtà, ma al contempo a non farlo, per paura di perdersi nel vuoto dell'evidenza, ma la mano che, tremante, aveva afferrato quell'oggetto schiavo della realtà e non della finzione, non si sarebbe più fermata.
E mentre il ticchettio della pioggia sulle vetrate e quello delle mie lacrime sul pavimento di marmo regnavano nel silenzio tombale della disperazione, la luce dello specchio si rifletté sul mio viso.Ma la mia immagine non cadde su quel vetro maledetto.
Non c'era nulla.
Non c'era alcun riflesso.
E come si spezzó il mio cuore cosí si ruppe anche il vetro che aveva tradito e distrutto ogni mia certezza a speranza, mentre il primo rintocco di orologio fece eco nella dimora di Dio.

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RAVEN: ancora un giorno
General FictionQuanto puó essere spaventosa la morte. La paura più arcaica e profonda dell'essere umano. Ogni uomo che tale possa definirsi si è interrogato in merito all'incomprensibile mistero della morte. Una notte nera, eterna, senza stelle. Un paradiso ameno...