Capitolo 1 [1\2]

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- Rebecca Farrel, diciassette anni, riserva delle cheerleader -

La scuola era iniziata da meno di due mesi e Becky Farrel doveva già recuperare un’insufficienza in matematica. Non che avesse mai brillato nelle materie scientifiche, ma di solito le prime avvisaglie di disperazione si avevano a fine anno scolastico, non a Novembre.
Suo padre si era mostrato molto deluso dal suo picco negativo di rendimento scolastico ed aveva dato la colpa a Dan. Era il suo primo fidanzato e nonostante gli incoraggiamenti e le rassicurazioni di sua madre, continuava ad avere qualche problema a vivere quella nuova situazione serenamente.
La mamma stava cercando di mediare: da una parte le diceva di capirlo, le aveva spiegato che per ogni padre era difficile accettare che la figlia stesse diventando una donna; dall’altra rimproverava suo padre per eccessiva apprensione. Conoscevano bene Dan, era un bravo ragazzo, dovevano essere contenti che Becky uscisse con una persona per bene invece di qualche teppista.
Nonostante il suo impegno, Becky e suo padre erano sul piede di guerra. Improvvisamente Becky si era ritrovata ad avere orari di rientro controllati al millesimo di secondo; commenti inopportuni su gonne troppo corti o maglie troppo scollate – come se la sua seconda di reggiseno fosse sbocciata in una notte e potesse davvero far diventare una canottiera indecente; limitazioni incomprensibili su quanto tempo passare con Dan e dove.
Non poteva più andare a casa di lui se i suoi genitori erano in casa.
Lei, la stessa che praticamente ci aveva passato l’infanzia tra quelle quattro mura.
Aveva dormito così spesso a casa sua, che la loro vicina le aveva comprato un sacco a pelo rosa e aveva scritto sull’etichetta il suo nome: se lui non era pericoloso prima, non capiva proprio perché dovesse esserlo diventato quell’estate.
Quindi per evitare l’ennesima tragedia, che sarebbe scaturita da un suo ulteriore voto negativo in matematica, stava compilando quello stupido test attitudinale alla meglio, mentre teneva il libro di algebra aperto sulle gambe. Si era accordata con Mr. Donalds per ripetere il compito, presentando come scusa le mestruazioni. Si era sentita in colpa e imbarazzata, aveva percepito tutte le donne di Thula, che combattevano perché nessuno considerasse un fattore biologico naturale come il ciclo un impedimento per qual si voglia attività, odiarla. Ma aveva funzionato e si era detta che le femministe l’avrebbero capita.
La Responsabile in giacca verde, che aveva portato la valigetta blindata fin nella sua classe e li stava sorvegliando, se ne era accorta – ovvio, ma non aveva dato segno di rimprovero: probabilmente non aveva dubbi sul suo responso.
Da quando la Crisi dei Veggenti si era acuita e da quando i primi Veggenti controllati, avevano dato segni di paranoia, a causa del loro difetto congenito, lo Stato di Thula era corso ai ripari per cercare di curare la Veggenza prima che scaturisse in pazzia con le buone o con le cattive.
Semestralmente tutti i ragazzi che avevano compiuto diciassette anni – l’età indicata come critica per quel particolare difetto celebrale – venivano sottoposti a quel test.
Il settantacinque per cento dei responsi erano negativi, nel venticinque per cento dei casi si aveva un risultato positivo oppure borderline.
I proprietari di test positivi erano affetti da Veggenza e dovevano sottoporsi ad altri esami, che sarebbero stati successivamente valutati da una commissione. I soggetti attivi, quelli a un livello già sviluppato della malattia, erano troppo pericoli per poter essere curati in casa e venivano mandati in strutture adatte e attrezzate. Le Douquette Industries giuravano di poter curare una Veggenza manifesta in massimo dieci anni e lavoravano costantemente per ridurre le tempistiche.
I soggetti inattivi erano corretti all’interno dell’ambiente sociale. Veniva individuata una cura con un dosaggio di Mitronio variabile di persona in persona e venivano effettuati controlli periodi per monitorare la situazione, ma in definitiva potevano proseguire la propria vita tranquillamente.
I risultati borderline erano Veglianti. Di solito atleti particolarmente bravi, spesso ragazzi dotati di un’intelligenza particolare; inconsciamente oppure no erano avevano delle capacità e quelle capacità venivano incanalate per catturare i Veggenti rivoltosi.
Considerata la sua insufficienza in algebra, la sua costituzione minuta e il suo status di “riserva” tra le cheerleader, Becky sentiva di poter dormire sonni tranquilli.
«Dovresti concentrarti di più».
Becky sussultò, spaventata che la Responsabile si fosse stancata di vederla distratta sul libro di algebra, ma subito tirò un sospiro di sollievo: si trattava soltanto di Patrick Timpton, il suo vicino di banco.
«È solo un test attitudinale» lo rimproverò bonariamente.
Di solito Patrick sembra impegnarsi ad essere invisibile, parlava poco, vestiva in una varietà di colori limitata che andava dal grigio al nero, se poteva evitava ogni possibile discussione animata. Non aveva mai capito il motivo, non era sgradevole, anzi, se per qualche fortuita casualità riuscivi a parlarci era perfino simpatico. Certo, non aveva il fisico di un Adone, ma anche dal punto di vista estetico non poteva considerarsi pessimo. Aveva gli occhi scuri, un naso forse troppo pronunciato, ma dava al suo viso un’aria intensa. In realtà Becky sospettava che Mila, la sua migliore amica, avesse un certo interesse per la sua misteriosa figura.
«Rebecca Farrel, diciassette anni, riserva delle cheerleader» sussurrò Patrick leggendo le risposte alle prime tre domande del test di Becky. Gli sfuggì un sorrisetto che la ragazza non comprese, il suo nome, la sua età ed il suo corso extracurricolare non le sembravano informazioni divertenti.
«Shh» li richiamò l’insegnante.
Becky tornò al proprio test e alla propria algebra, mentre distrattamente scriveva che il suo fiore preferito era la violetta, più banale di così. Se non ci fossero state tante cose sgradevoli in palio, avrebbe cercato di rendersi più interessante, avrebbe scritto che il suo fiore preferita era la pervinca, tanto per darsi un tono.
Sollevò lo sguardo dal banco e lo concentrò sul vetro della porta dell’aula, mentre ripeteva mentalmente una formula matematica. C’era un Vegliante dall’altra parte del vetro, che controllava la situazione fuori dalla classe, per assicurare che a nessun Veggente venisse voglia di interromperli.
Sospirò. Sapeva che per quanto studiasse, per quanto fosse certa di aver visto e imparato tutto, qualcosa le sarebbe sfuggito. Qualcosa le sfuggiva sempre. Era esageratamente frustrante.
«Rebecca Farrel, diciassette anni, riserva delle cheerleader» sussurrò ancora Patrick.
Lei si voltò verso Patrick e si rivide bambina, uno dei suoi primi spettacoli. Era la flyer più piccola del corso, era tenera e carina, e l’avevano invitata a presentarsi; in mezzo allo spavento, all’agitazione e a mille altre emozioni troppo grandi per una bimba piccola come era stata lei, aveva detto: Rebecca Farrel, sette anni, cheerleader.
Sbatté le palpebre un paio di volte e cercò di tornare a concentrarsi sulle formule che doveva assolutamente imparare a memoria, prima che Mr. Donalds facesse il suo nome. Era sorpresa di ricordare ancora quella giornata, non le sembrava che fosse una gara tanto importante e non le si era riaffacciata alla mente da anni.
Bizzarro.
Quadrato di un binomio: a meno b alla seconda è uguale a…
«Rebecca Farrel, diciassette anni, riserva delle cheerleader.»
«Posso aiutarti, Patrick?» chiese gentile la loro insegnante. Mrs. Cutter, di solito insegnava Scienze Sociali, una materia da sempre ritenuta non troppo importante, quindi veniva impiegata anche per tutta quella serie di incombenze che gli altri professori cercavano disperatamente di evitare.
Becky si voltò di pochissimo verso di lui, preoccupata di lasciar intendere un coinvolgimento eccessivo nei suoi tentativi di disturbarla. Non voleva essere ripresa, voleva starsene tranquilla e buona a ripassare.
Ma le sue mani, aperte sul banco, le dita che premevano così forte sulla formica, da avere le punte bianche, la inquietarono. Il suo, di test, era completamente intonso.
«Non voglio farlo» sussurrò ad occhi bassi.
Becky guardò di fronte a lei: Mrs. Cutter sembrava turbata, mentre la Responsabile, appoggiata alla cattedra fissava Patrick con intensità. Sapeva cosa stava pensando: Patrick si stava comportando in modo strano e di solito erano i Veggenti per cui era troppo tardi a dare i numeri durante quei test.
Lentamente e con discrezione, la Responsabile si portò una mano all’orecchio, sussurrando poche parole incomprensibili a chi la ascoltava dall’altra parte dell’auricolare.
Tutto cambiava impercettibilmente intorno a loro: ora i Veglianti alla porta erano due e fissavano Patrick dal vetro come due cani da caccia ben addestrati avrebbero puntato la loro preda.
«Perdonami, Patrick, non ho capito» tentò Mrs. Cutter.
«Non. Voglio. Farlo» ripeté ad occhi bassi, prima di sollevare lentamente lo sguardo e puntarlo, non su Mrs. Cutter, in apprensione a pochi passi da lui, ma sulla Responsabile.
Anche Becky la guardò, l’angolo di un sorriso affilato sfuggì alla sua espressione, mentre continuava a osservarlo spassionata. La tensione era palpabile, talmente evidente che tutta la classe era piombata nel silenzio più assoluto.
Sembravano nemici giurati, avversari legati da un odio reciproco che risaliva a un’altra era. Incomprensibile, inspiegabile, Becky dubitava che si fossero mai visti prima.
«Non stai bene?» provò comunque a chiedere Mrs. Cutter, nell’ultimo disperato tentativo di salvare una situazione che stava precipitando più in fretta della sua media scolastica.
Patrick non rispose, si voltò verso Becky e lei sussultò, sentendosi improvvisamente e scomodamente chiamata in causa. La fissava come se potesse leggere sul suo viso la storia della sua vita e con stupore realizzò che forse poteva.
Non sapeva cosa si aspettasse che dicesse, una previsione appassionata ed enigmatica sul suo futuro magari, una specie di fantasma del Natale futuro vestito male.
«Non farlo» la supplicò Patrick.
Per un secondo tacque: “non farlo”? “Non farlo” non era una previsione, forse Patrick era solo impazzito. In fondo non tutti i matti erano Veggenti.
La Responsabile si raddrizzò dalla scrivania alla quale era appoggiata e si portò una mano dietro alla schiena. Evidentemente lei la pensava diversamente.
«È una brava persona» continuò lui, gli occhi lucidi.
Becky era disorientata, marginalmente spaventata: «Chi?» non riuscì ad impedirsi di chiedere.
Improvvisamente le afferrò la mano, stringendola tanto da costringerla a lasciar cadere la penna che aveva stretto tra le dita. Scioccamente seguì con gli occhi il suo percorso fino alla punta della scarpa della Responsabile, che la calciò via, continuando ad avvicinarsi a loro.
«Le mani sono le tue. Il dito è il tuo» disse Patrick, incomprensibile e accorato.
«Patrick non capisco di cosa parli» ribatté Becky cercando disperatamente di fargli lasciare la presa.
Ma lui la strattonò, avvicinandola così tanto a lui da farla anche arrossire, sopraffatta dai suoi comportamenti improvvisamente tanto aggressivi.
«Devi pensare bene a quello che fai» le intimò. «O sarà bene spezzartele, queste dita» la minacciò.
Becky cercò di spingerlo via, guadagnando pochi centimetri i distanza, ma Patrick la tirò di nuovo indietro verso di lui. Urlò quando le afferrò meglio la mano stringendole le nocche così forte, che poteva sentirle muoversi, cercare spazio, scorrerle sotto la pelle per non cozzare tra loro.
«Patrick Timpton, lascia immediatamente la mano della tua compagna» tuonò imperiosa la voce della Responsabile. Aveva fatto alcuni passi, verso di loro, il braccio teso nell’impugnare una pistola contro Patrick. Nonostante la situazione di tensione sembrava di pietra, un masso inamovibile avvolto in un completo color verde Mitronio.
Patrick si fermò per fissare la canna puntata contro di lui, mantenne costante la pressione sul metacarpo di Becky per quelli che le sembravano anni.
«Pensa davvero di potermi sparare?» chiese lui con aria divertita.
«La prevalenza all’incolumità della ragazza» continuò e per un attimo Becky non seppe a chi stesse parlando.
Almeno finché un manganello nero e lucido non calò sulle braccia esposte di Patrick costringendolo a lasciare la presa. Becky strizzò gli occhi quando lo sentì urlare, stringendosi le braccia al torace, per non vedere i polsi di Patrick girati per il verso sbagliato. Torti nel modo sbagliato.
Non le diedero tempo di assimilare.
Sentì il frastuono di un banco che veniva fatto cadere a terra, poi un braccio la avvolse per il torace e la tirò via. Becky cadde a terra e riaprì gli occhi all’ombra della figura ferma e seria di un Vegliante armato di spalle a lei, pronto a respingere qualsiasi ulteriore tentativo di Patrick di aggredirla.
Mrs. Cutter si precipitò per aiutarla ad alzarsi, subito raggiunta da Mila. Insieme la aiutarono a seguire le istruzioni di un ulteriore gruppo di Veglianti per evacuare l’aula in più fretta possibile e mettere in sicurezza il suo aggressore.
Becky era piuttosto sicura che “mettere in sicurezza” non significasse niente di buono per Patrick.

Synt - You can not redoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora