28. Farfalle

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Ci fermammo davanti alla porta della camera di Blair. Ricordavo che la sua stanza era l'ultima alla fine del corridoio, ma non sapevo il motivo preciso per cui Blair non voleva che ci entrassimo.

«Blair ci ucciderà», scherzai.

«Nah, non le diremo che ci siamo entrati. È solo per sapere cosa ci nasconde», disse lui.

Il cartello appeso fuori diceva "NIENTE GENITORI". Harry ed io ridemmo, prima che lui abbassasse la maniglia. Non appena la porta fu aperta, lui scoppiò a ridere e io riassemblai il puzzle dei ricordi che avevo di quella stanza.

La camera era rimasta la stessa: le pareti rosa, le barbie disposte ordinatamente sulle mensole, poster di Hannah Montana e dei Jonas Brothers appesi dappertutto, fiori qua, cose rosa là. E Blair odiava il rosa.

«L'avevo dimenticato», ridacchiai.

«Ma da quanto tempo non entra qui dentro?», chiese Harry.

«Un paio di anni, credo» risposi.

«Oddio, ora capisco perché non voleva che entrassimo. È la camera di una bambina».

«L'ultima volta che è stata qui era una bambina», la difesi. «È divertente».

«E imbarazzante. Dovremmo ridipingerla».

Lo guardai e sorrisi. «Ottima idea!», esclamai.

Inarcò un sopracciglio. «Davvero?».

«Sì! Chiederemo a mia cugina cosa ne pensa. Credo che fra qualche settimana i miei zii verranno a stare qui per un po', magari potremmo renderla un po' più.. Da diciassettenne?», risi.

«Ci sto», concordò con un sorriso. «Pensavo che ci nascondesse dell'erba o un cadavere», scherzò. «Mi sorprendo che non ci siano poster di Justin Bieber», ridacchiò mentre girava per la camera.

«Blair odia Justin Bieber».

«Sul serio? Beh, non dirlo a Niall o Zayn. Sono amici».

«Tu no?».

Fece spallucce. «Mi è indifferente».

«Pure a me», dissi. Mi avvicinai alla porta-finestra e l'aprii, uscendo sul balcone che dava sul giardino sul retro. C'era un'altalena con le corde legate saldamente ad un ramo di un grande albero vicino. Harry mi seguì e senza una parola, si sollevò aiutandosi con la ringhiera di legno bianco e salì su un ramo.

«Harry! Scendi, è pericoloso!», pregai.

«Ma dai», disse tranquillo, mentre si spostava da un ramo all'altro quasi senza sforzo. «Tanto se cado non mi faccio male, sotto c'è il giardino».

«No, dai. Ho paura». Mi morsi il labbro inferiore e guardai giù.

Lui rise. «Non mi succede niente, i rami sono grossi a sufficienza da tenere il mio peso».

«È abbastanza alto», notai.

«Soffri di vertigini?», chiese guardandomi.

«No, però fa impressione».

Non sapevo realmente se soffrivo di vertigini, ma l'idea di lui lassù mi metteva preoccupazione.

Tornò vicino al balcone con un sorriso e tese la mano. «Sali».

Risi. «Io ti dico di scendere e tu vuoi farmi salire?».

«Sì. Dai».

«Uhm, no. Non è una buona idea. Fa impressione, sono maldestra e indosso un vestitino».

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