Nameless

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Sull'uscio, un bambino, uno dei tanti, li osservava a loro insaputa. Aveva sette anni, l'intelligenza di uno di quindici e non aveva un nome. Nessuno, lì, ce l'aveva, esistevano solo i soprannomi.

Si nascose dietro un mobile nel corridoio quando l'elegante signora, con un viso a lui molto familiare, si sistemò il rossetto, si asciugò gli occhi gonfi di lacrime che non avrebbe mai versato e si preparò ad andarsene.

"Ricordati di nascondere il corpo, Joseph, mi fido di te." la sentì sussurrare.

Poi, il bambino corse, andò dai suoi compagni raccontando loro l'accaduto e mostrando a quella massa di sporchi e curiosi orfani lo strano pacchetto che era riuscito a rubare dalla scrivania. D'altronde, questo gli avevano insegnato: come un piccolo Oliver Twist, era istruito a rubare, a imbrogliare.

Non poteva nemmeno immaginare quanto fosse importante e pericoloso, soprattutto per un piccolo gruppo di ingenui bambini quali erano.

"Guarda cosa ho trovato." disse entusiasta a quello che sembrava essere il capo del gruppo mostrando il pacchetto che teneva fra le mani.

Il ragazzo lo guardò circospetto. Quell'oggetto lo inquietava, era qualcosa di mai visto e uno come lui che aveva sempre vissuto in un orfanotrofio aveva una paura della novità intrinseca nell'animo.

"Cos'è?" chiese senza toccarlo.

"Non lo so." rispose l'altro. "Ma gli adulti se lo contendevano e ho pensato fossse importante."

"Gli adulti e i loro giochi sono pericolosi, sbarazzatene." concluse indicandogli l'uscita della stanza.

Il ragazzo abbassò la testa e se ne andò strascicando i piedi tra la malcelata ilarità dei suoi compagni.

Il piccolo orfano era stufo di essere sempre sopraffatto dall'autorità degli altri, dalle risate di scherno, dalle proteste represse ancora prima di prendere forma nel suo animo vispo e impavido.

Strinse la presa sull'involucro scuro e tirò rumorosamente su col naso. Attraversò le spoglie stanze dell'orfanotrofio fino a raggiungere l'entrata. Sgusciò con passo felpato dalla sorveglianza della vecchia signora che si teneva distrattamente un fazzoletto di stoffa sul naso. Senza curarsi del sangue impregnato sul leggero tessuto bianco corse via tra i vicoli della cittadina.

Non aveva avuto il coraggio di aprirlo, qualcosa in quel leggero strato di carta tenuto assime da della raffia marrone lo spaventata ancora.

Solo una scritta risaltava sulla carta ormai sporca di carbone.

" A te, il mio unico vero amore.
-J. "

Arrivato su un ponte fece per buttare il pacchetto, ma si frenò bruscamente all'ultimo.

Era stufo di sottostare al volere degli altri, di essere considerato perennemente in secondo piano, una presenza di cui non si tiene conto, un qualcosa di troppo, di inutile.

Fece la scelta decisiva di infilarlo nella tasca scucita e quel ragazzo che tanto rispecchiava le fantasie di Dickens, sorrise sfacciatamente al vento pomeridiano animato di un inaspettato senso di ribellione.

Nessun pensiero cupo, solo buoni propositi riempivano la mente del ragazzino mentre, ormai allegro, s'incamminava verso quella che negli ultimi anni era stata casa sua. Rientrò dalla finestra e con la maestria di un vero ladro tornò nella sua camera senza destare sospetti. I suoi "amici" non si curavano di lui, era la pecora nera del gruppo.

Gli avevano affibbiato il soprannome di 'Jolly'. Lui era uno di quelli che chiami solo quando ne hai bisogno, quando può farti comodo, ma a cui nessuno tiene davvero. Un ragazzino così furtivo e abile nelle arti più scaltre poteva servire allo scopo di molti.

S'inginocchio sul pavimento polveroso e infilò la mano nella tasca per prendere il pacchetto. Sotto il letto nessuno avrebbe trovato il suo prezioso tesoro.

Ma tutto quello che riuscì a tastare fu solo il ruvido tessuto dei pantaloni.

Si guardò attorno esterrefatto.

Il pacchetto era sparito.

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