Francoforte, 1879
Johan correva lungo il corridoio principale dell'orfanotrofio, seguito a debita distanza da Karl e da Walter. Era il più piccolo dei tre e, a parte quando non soffriva di forti attacchi d'asma, correva più veloce degli altri due. Li poteva definire i suoi migliori amici, ma non sapeva bene anche lui cosa fossero.
Non si ricordava il suo arrivo in orfanotrofio, d'altronde aveva solo poche settimane; ed ora aveva undici anni. Era un bambino bello e magro, con dei biondissimi capelli e degli occhi color del cielo primaverile.
Johan si nascose dietro ad una porta, non gli importava che porta sia e dove conduceva; gli bastava nascondersi da quella suora che voleva somministragli il suo giornaliero cucchiaio di olio di fegato di merluzzo. Se quei due non si muovono quella ci becca pensò tra se e se, ed era vero, gli altri due bambini erano terribilmente lenti, Karl era quasi cieco, per via della mancanza del suo occhio sinistro, e Walter era rachitico. "Muovetevi lumache!" li incitò Johan.
"Se quella ci trova, ci darà da bere quella merda!" disse tutto d'un fiato, "stiamo arrivando..."disse Karl con un nodo alla gola per la fatica "tu sei avvantaggiato, hai tutti e due gli occhi.." replicò Karl "smettila di fare la femmina e corri qui! Se quella cazzo di suora ci trova è la fine per noi!" ...per me... pensò subito dopo.
Johan era un bambino vivace; era finito molte volte nei guai causa la sua arroganza e per il suo linguaggio volgare. Le suore che gestivano l'orfanotrofio e la preside, la signora Peths, non sapevano minimamente come un ragazzino di solo undici anni avesse imparato così tante parolacce, e lui non si faceva problemi ad usarle. Era stato più e più volte fustigato con un bacchetto sulle mani, messo in isolamento, e persino rinchiuso in una specie di sotterraneo pervia del suo comportamento. Ma niente l'aveva scalfito; era rimasto uguale, anzi peggiorava di volta in volta. Johan non aveva paura delle suore zitellone che non avevano un cazzo da fare nella vita,così le definiva; ma provava un odio irrefrenabile per la preside Peths. Johan non era neppure a conoscenza che era stata lei a salvarlo dalla morsa dell'inverno tedesco, eppure la odiava. Odiava tutto di lei. Odiava il fatto che fosse irrimediabilmente grassa, che indossava sempre gli stessi vestiti, ma la cosa che odiava di più almondo della Peths era il suo profumo.
Quel odorino acre di sudore misto a rosa, la rendeva una cosa micidiale.
Scappare per non aver bevuto l'olio era nella norma nelle giornate di Johan. Era stanco di bere quella cosa unta e per di più schifosa, e a suo parere erano tutte balle che faceva bene, insomma Walter la beveva sempre, ed è rachitico comunque...
"Cristo iddio vi volete muore?" sibilò, "eccoci, eccoci..." disse infine Walter andandosi a nascondere dietro le spalle dell'amico "era ora...ma dov'è quella donna?" chiese il biondino. Nessuno rispose."si è accorta che mancavamo all'appello? Vero?" chiese Johan crucciando il viso. Era come se gli piacesse; come se gli piacesse finire nei guai e trascinarsi dietro gli altri due, per poi iniziare apiangere e a dare la colpa a Karl o a Walter. Era un bambino subdolo e meschino, per quanto piccolo era.
"Quella non si e neanche accorta che siamo scappati come le galline dal pollaio, che scema!" detto questo Walter iniziò a ridere, tanto che Karl, per scaramanzia, gli coprì la bocca con la mano per non farlo urlare troppo.
"Adesso ce ne andiamo" si guardò attorno "Di qui si arriva alla mensa, mentre se torniamo indietro arriviamo alla camerata. Io punterei alla camerata, anche perché quelle a oche isteriche delle suore non verràmai in mente di cercarci lì..." non appena ebbe finito di pronunciare le suddette parole, iniziò a vagare nell'aria una speciedi ticchettio; molto rapido ma ben scandito.
Johan arricciò il naso...conosceva bene quell'odore di rosa. I tre sigirarono e alle loro spalle vi stava la Peths.
Con le braccia conserte e i suoi occhiali a mandorla, fissava i tre bambini senza battere ciglio. "Walter! Karl! E sopratutto tu piccolo furfante di un Johan...cosa ci fate in giro a quest'ora?!" il profumo di rose si ramificò in tutto il corridoio sino ad insinuarsi nel cervello dei tre poveri ragazzi. "io...noi.." balbettava Karl"Noi ci facciamo i cazzi nostri se lo consente, e continueremo a farceli" disse sbruffando Johan. "Insolente di un marmocchio,come ti permetti?!" urlò la Peths con voce tuonante, "Mi permetto eccome... e se non le dispiace ora ce ne andiamo". La Peths salì su tutte le furie "Karl! Walter subito in dormitorio! Se non volete venti frustate sulle mani!" ringhiò "Si, signora preside" dissero i due all'unisono, e si avviarono con il capo chino verso la camerata maschile. "Mentre tu, piccolo arrogante, verrai con me! Cinque giorni nella cella dei sotterranei ti farà piùche bene!" bofonchiò la Peths. "Io non ci torno la dentro!"urlò il biondino "Vacci tu brutta vacca prepotente!" "Io tifaccio mozzare la lingua se non la smetti di fare l'insolente! Di ancora una, e dico una, volta una singola parola e ti prometto che tu non vedrai più la luce del sole, caro il mio Johan..." finita la frase, Jhoan accettò la sconfitta e a capo chino se ne andò seguito dalla preside Peths.
***
"Dovestiamo andando?" si azzardò a chiedere Johan; "Ah lo sai bene,cinque giorni in isolamento qua sotto ti faranno solamente bene"bofonchiò acida la Peths.
L'isolamento non piaceva per niente a Johan. Le "segrete" erano buie e umide, e puzzavano di pipì, per via della mancanza di un bagno.
Dopo svariati minuti di silenzio la Peths disse con fare quasi materno "Johan caro mio, devi cercare di calmarti. Il mondo la fuori è una giungla; e se continuerai a fare di testa tua e a non rispettare le regole finirai sicuramente in prigione..."
Stavano scendendo una ripida scalinata di pietra illuminata da delle fioche lampadine. Johan non prestava molto ascolto alle parole della direttrice, e continuava a torturasi le nocche delle mani.
"Johan, presta ascolto, cerca di capire che lo faccio per il tuo bene." e detto questo aprì una pesante porta in ferro battuto, che dava sulla stanzina dell'isolamento; "Entra." disse la Peth senza mostrare alcuna emozione.
La fredda stanza era composta da un letto un materasso quasi invisibile e un comodino con un lume ad olio. Non c'erano mobili e non c'erano finestre.
"Su dai, entra" ripetè "domattina ti sarà dato l'unico pasto della giornata, sta a te spartirtelo per il resto della giornata". Johan guardava il pavimento, e con un velocissimo gesto della mano si asciugò una lacrima. Entrò in quel tugurio di stanza, e la Peths chiuse la porta a chiave.
"Cazzo!"urlò il ragazzo ormai solo, e girandosi diede un calcio all'unico mobile della stanza. Johan stai calmo, stai calmo... lo hanno già fatto, ti hanno già rinchiuso qui dentro; molte, molte volte. Stai tranquillo... si ripeteva nella sua testa come se fosse un mantra.
Johan sapeva benissimo che se avrebbe fatto il bravo l'avrebbero fatto uscire prima per buona condotta, ma era successo solo una volta, quindi non ci sperava più di tanto.
Si sedette su quel povero letto, e la rete in fil di ferro scricchiolò sotto il suo misero peso. Prese in fiammiferi dalla scatolina adagiata sopraal comodino.
Erauno solo; ormai le suore sapevano della furbizia del bambino e mettendogli un solo fiammifero avrebbero ridotto le possibilità chedesse fuoco a qualcosa; anche se da dar fuoco non c'era niente.
Accese la lampada ad olio e la stanza s'illuminò come per incanto. Pose la fioca luce sul comodino e si sdraiò. Voleva piangere, ma non potevafarlo. Si sarebbe odiato se si fosse messo a piangere come una bambina isterica. Lui si credeva forte, molto più forte di quel che era; e questo gli causava molto problemi con la rigida istituzione dell'orfanotrofio.
Chiusegli occhi, e si addormentò.
Non aveva mai conosciuto sua madre né quanto meno suo padre. Si chiedeva mille e mille volte come ci finì in orfanotrofio, chi lo portò ma sopratutto perché.
Quando guardava fuori dalla recinzione del cortile, vedeva molte famiglie felici; bambini che ridevano e giocavano con i propri genitori. Lui aveva sempre vissuto nell'orfanotrofio, ed era anche arrivato a pensare di essere nato direttamente lì. Ma sapeva che non poteva essere così.
Ogni giorno, si affacciava alla grande vetrata che dava sulla strada di accesso e quasi sempre una o due coppie entravano nell'enorme orfanotrofio e portavano via dei bambini.
"Questo non capiterà mai a te" diceva la Peths, stando alle sue spalle "Non accadrà se non metterai la testa apposto." ma Johan neanche si voltava, quando la direttrice diceva queste parole, non voleva lo vedesse piangere; ma lei lo capiva comunque.
Voleva bene a quel bambino. Dopo tutto era stata lei a salvarlo, in quella notte di febbraio.
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Esisto, perché esiti tu...
Chick-LitGermania, 1868 Un povero bambino rimane orfano durante un incendio. Crescendo dovrà imparare ad amare, cosa che nel tetro orfanotrofio non gli hanno insegnato a fare. Conoscerà un ragazzo Simpatico, gentile e molto affettuoso, con cui farà subito a...