Prologo

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La strada davanti a me era lineare e piena di gente, come ogni giorno da nove anni. Il gruppo di sostegno del quale ero ormai parte integrante non aveva mai cambiato postazione, ma io avevo già sperimentato parecchie scorciatoie per arrivarci. Stavo passando davanti al negozio di animali di Mr. Johnson quando ricordai i bei tempi andati dell'infanzia, e la zia Eunice che cercava sempre di trovare il modo per accompagnarmi con la sua piccola utilitaria.

La mia, non era mai stata una vita molto fortunata; avevo perso i miei genitori alla tenera età di nove anni e l'unico parente che mi era rimasto, la zia Eunice appunto, se n' era andato da poco.

Una volta arrivata davanti all'ingresso dell'inquietante palazzo marrone,la mia mano destra andò automaticamente ad appoggiarsi sulla maniglia per aprire la porta. Sembrava che non avesse fatto altro per tutta la vita, e in effetti era così. Avanzando per i corridoi ripensai alla prima volta che avevo varcato quella soglia. Ero solo una bambina di nove anni all'epoca, una bambina che aveva appena perso i genitori in un incidente di montagna e alla quale i servizi sociali avevano imposto la terapia di gruppo; i capelli castani arruffati fin sotto le spalle e gli occhi marroni che raccontavano di un dolore troppo grande.

Il tempo era passato e io avevo quasi diciotto anni ormai, ma quel posto non era mai cambiato, io non ero mai cambiata e la mia vita non aveva avuto un trattamento migliore. L'unica nota positiva in tutto questo era il fatto che mancassero solo pochi mesi al raggiungimento della maggiore età; e allora nessuno avrebbe più potuto obbligarmi a frequentare quel posto.

Guardai l'orologio appena sopra lo stipite della porta numero 8, ero in ritardo. Quando entrai si voltarono tutti verso di me.

<<Sei in ritardo Erica>> mi rimproverò Annie, la capogruppo.

<<Come sempre>> risposi io, arrogante. In tutti gli anni che avevo passato lì dentro, non mi era mai capitato di arrivare in tempo a quegli stupidi incontri.

Mi misi seduta prima di cominciare a fantasticare sui miei diciotto anni, sul tempo in cui sarei uscita da quel posto e dal sistema dei servizi sociali. Non mi aveva mai convinto il fatto di dover "condividere i miei sentimenti" con delle persone che non conoscevo neanche.

<<Chi vuole cominciare oggi?>> chiese Annie a tutto il gruppo. Nessuno rispose, non che mi aspettassi il contrario. <<Erica?>> continuò.

Alzai gli occhi al cielo per un attimo, poi cominciai a parlare. <<Non ho niente da dire. La mia vita è sempre la stessa, sempre uguale, nessun cambiamento. Sono convinta che nessuno qui abbia voglia di sentir parlare di me un'altra volta.>> mi alzai in piedi, scocciata <<Ah si, credo di aver bisogno del dottore>> detto questo presi le mie cose e mi avviai verso l'infermeria. C'ero già stata un paio di volte, in quei giorni in cui sopportare il gruppo di sostegno era davvero troppo, in quei giorni come quello.

Stavo per girare nel corridoio a sinistra quando sentii uno strano rumore provenire dalla porta davanti a me. Mi fermai per ascoltare meglio. Riuscivo a sentire qualcosa di metallico che si muoveva, come se dentro quella stanza ci fosse un cavaliere con addosso la sua pesante armatura. Stava venendo verso di me. Non feci in tempo a pensare al da farsi, la porta si spalancò e un uomo di metallo mi puntò contro il suo braccio destro urlando qualcosa che aveva a che fare con la mia cancellazione. Una persona sana di mente, a quel punto, avrebbe cominciato a correre nella direzione opposta; ma io non ero mai stata una persona sana di mente, altrimenti, tanto per cominciare, non mi sarei trovata in quel posto. Presi la rincorsa e cercai di atterrarlo saltandogli addosso, non gli avrei permesso di fare del male ne a me ne a nessun altro. Piombammo per terra, io sopra di lui mentre si divincolava, cercai di afferrare qualcosa di contundente alle mie spalle, ma l'unica cosa che trovai fu un braccio teso che prese il mio allungato all'indietro per tirarmi su. Una volta in piedi mi voltai per vedere chi fosse. Mi trovai davanti ad un uomo vestito in modo strano e con le scarpe di tela, i capelli castani avevano un che di sbarazzino e disordinato, un uomo sorridente e con un curioso cacciavite, un uomo che non sembrava affatto un uomo. Lui ritrovò la mia mano nel momento in cui quell'affare di metallo riuscì ad alzarsi. Mi guardò per un attimo con i suoi grandi occhi marroni, non smetteva di sorridere, sembrava si stesse divertendo. Mi fece l'occhiolino e mi urlò di correre. Obbedii come se avessi avuto scelta, mi stava ancora tenendo per mano senza darmi l'impressione di volermi lasciare. Corremmo per un po' lungo qualche corridoio a caso prima di fermarci. <<Non possiamo lasciare che quella cosa se ne vada in giro.>> gli dissi sciogliendo le nostre mani.

Il Dottore e la ragazza coraggiosaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora