Capitolo 3
ZAÌRA«Buonasera».
La voce sconosciuta di un uomo che saluta papà mi fa gelare il sangue nelle vene.
Cerco con lo sguardo mia madre che se ne sta in piedi, poco distante da me.
La vedo trasalire, come se la voce che abbiamo appena sentito appartenesse a un mostro pronto a sbranarla viva.
Nonostante il suo pessimo stato d'animo, mi mostra un sorriso e alza il pollice all'insù, come a volermi rassicurare che andrà tutto bene.
Passano pochi secondi e i miei occhi si posano su un uomo sulla cinquantina, abbastanza alto, dai capelli e occhi scuri.
Porta tra le mani una bottiglia di vino rosso e un mazzo di rose bianche e rosse.
Nella nostra cultura, è d'obbligo che lo sposo porti del vino artigianale a casa della sua futura sposa.
Io e il mio futuro marito lo berremmo per sigillare il patto del matrimonio.
Dunque... è lui Herman?
Me la sentivo che mi sarebbe capitato un uomo molto più grande di me.
Solo l'idea di vivere con lui sotto lo stesso tetto mi mette ribrezzo e il fatto che è carino non mi fa sentire meglio.
Ma probabilmente mi preoccupo per niente.
Il giorno del mio matrimonio non arriverà mai, è pressoché impossibile tornare indietro nel tempo per riacquistare la mia verginità.
Subito dietro di lui vedo un altro uomo, molto più giovane, dalla pelle leggermente più scura e gli occhi verdi come due smeraldi.
Ha i capelli neri tagliati cortissimi ed è accompagnato da due bellissime donne.
Sono confusa. Chi è tutta questa gente e quale dei due è il famigerato Herman?
Sto iniziando a odiare questo nome, davvero.
Mia madre abbassa lo sguardo davanti all'uomo più grande, mio padre invece lo osserva con venerazione, come se fosse il Grande Signore sceso in terra.
«Tu devi essere la mia bellissima nuora», mi mostra un sorriso e mi mette le rose tra le braccia.
Io sono rigida come un pezzo di legno e mi meraviglio non poco quando dalla mia gola esce un flebile grazie.
Quindi, lui è il mio futuro suocero mentre l'altro ragazzo è forse l'uomo che devo sposare?
«Splendida Zaìra, sono Anton Janko, il tuo futuro suocero. Lei è mia moglie Mercedes», indica la donna più matura e io abbasso la testa, in segno di rispetto.
La donna è a dir poco bellissima con i suoi lunghi capelli scuri acconciati in voluminosi boccoli e gli occhi verdi, identici al ragazzo di prima.
Quando mi guarda come se fossi un insetto capisco che non le sto per niente simpatica.
«Lui è mio figlio Sandor», aggiunge Anton, spostando la mia attenzione sul tipo che mi sta fissando con un sopracciglio inarcato, come se stesse ancora decidendo se gli piaccio o meno. «E lei è la moglie di Sandor, Milena», conclude, indicando la ragazza dai capelli neri e lunghi.
Se ne sta accanto alla suocera, con gli occhi puntati per terra, come se non avesse il permesso di guardare nessuno.
Non posso vedere bene il suo volto, ma dalla sua carnagione olivastra direi che è una di noi.
Se così non fosse, sarebbe abbastanza strano anche perché, normalmente, le nostre comunità non accettano l'unione tra i rom e le gagè.
«È un piacere conoscervi», mi schiarisco la voce.
«Herman sta per arrivare, ha avuto un contrattempo», si scusa Anton.
Mi stringo nelle spalle.
Il ritardo di Herman è una vera mancanza di rispetto nei nostri confronti e mi stupisco quando capisco che papà non darà di matto.
Solitamente, non si fa mettere i piedi in testa da nessuno, ma sembra che il rispetto che nutre per questo Anton sia più grande di qualsiasi cosa.
«Aspetteremo. Sono certo che tardi per dei validi motivi», dichiara papà, prendendo il suo futuro consuocero a braccetto.
Escono fuori dalla stanza, insieme a mamma e alla mia futura suocera.
Probabilmente, vanno a fare il giro della casa.
Il tempo passa, ma lui non arriva più e a me scappa di andare in bagno.
Dove accidenti si è cacciato?
A un certo punto, alzo un braccio per attirare l'attenzione di mia madre.
Devo assolutamente andare in bagno e avrò bisogno d'aiuto visto il vestito ingombrante, però il campanello suona di nuovo e il mio cuore, questa volta, rischia di schizzare fuori dal petto.
Abbasso il braccio e guardo mio padre dirigersi ancora una volta verso la porta d'ingresso per tornare subito dopo, accompagnato da un ragazzo molto più alto di lui, dall'aria trasandata.
I miei occhi si spalancano da soli e la mia salivazione si azzera di colpo quando lo vedo.
Si direbbe che sia appena sceso dal letto, ha i vestiti stropicciati e i capelli corvini scompigliati, ma dal suo atteggiamento strafottente non sembra importargli molto del suo aspetto.
Lo fisso incredula, tuttavia mi ritrovo a buttare fuori un sospiro di sollievo.
Non è un vecchio schifoso, anzi, probabilmente è l'uomo più bello che abbia mai visto.
Quando i nostri occhi si incontrano per la prima volta, sussulto e mi sento arrossire sotto il suo sguardo indagatore.
Provo a mostragli un sorriso di circostanza, ma la sua curiosità dura per pochi secondi.
Il suo sguardo scuro si riduce in una sottilissima lama tagliente.
Chino la testa.
È chiaro che non gli piaccio.
Come biasimarlo?
***
Durante la cena, ci hanno messi a sedere uno accanto all'altro, ma non ci siamo scambiati nemmeno una parola.
Anzi, lui sembrava piuttosto affascinato dal sedere di una delle cameriere viste le occhiate lascive che le lanciava.
Gli unici a parlare sono stati i nostri padri che si sono mostrati più che contenti che le due famiglie si uniranno.
Anche quando abbiamo bevuto il vino dai calici di cristallo Herman non mi ha mostrato alcun tipo di interesse.
Non mi ha nemmeno guardata negli occhi; si è limitato a mandar giù la bevanda, dandomi l'impressione che avrebbe voluto essere da tutta un'altra parte.
Dopo la cena, la festa si è trasferita in giardino: abbiamo dovuto ballare insieme mentre gli altri urlavano, acclamando i nostri nomi.
Herman mi ha stretta a sé, senza spiccicare parola.
Quando è andato via mi ha salutato con un freddo "Ciao!".
Molte ore dopo, chiusa nel silenzio della mia camera da letto, mi giro e rigiro tra le lenzuola senza riuscire a prendere sonno.
Ci penso su, ma arrivo in fretta a una conclusione: domani parlerò con mia madre.
Chiederò aiuto all'unica persona che probabilmente sarà in grado di capirmi e aiutarmi in qualche modo.
Pian piano, le mie palpebre si appesantiscono.
Prima di lasciarmi avvolgere dalle braccia di Morfeo, mi ritrovo a pensare, piuttosto terrorizzata, a due occhi che non sono quelli di Gabriel.