Strada Facendo.

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Innanzitutto, scusate per l'estremo ritardo. Purtroppo, una successione di eventi ha ritardato la pubblicazione, anzi, l'ha praticamente interrotta. Non succederà più, promesso! Eccovi il capitolo!

La giornata di lavoro di Mario stava procedendo tranquillamente, come tutti i giorni. Stava mettendo al loro posto gli ultimi capi di abbigliamento arrivati, avendo cura di non sgualcirli. Era quasi ora di pranzo e, calcolando mentalmente i tempi, si disse che l'inventario avrebbe potuto terminarlo con calma nel pomeriggio, non avrebbe mai fatto in tempo a concluderlo entro l'ora di chiusura del negozio e mai e poi mai avrebbe saltato un pasto, nonostante amasse tanto il suo lavoro e lo svolgesse con piacere e dedizione.

***

Erano ormai undici anni che lavorava in quel negozio, da quando aveva finito le superiori e si era trasferito a Roma.

Moro con gli occhi scuri, Mario era bello da togliere il fiato, sebbene, insicuro com'era, stentava a crederci.

Trent'anni, Mario Serpa veniva da Anzio, un paesino non troppo lontano dalla capitale, che gli stava troppo stretto. Una successione di eventi gli aveva fatto capire che quella non era davvero casa sua e che aveva bisogno di andarsene. Adorava la sua famiglia, davvero, ma aveva bisogno di costruirsi la sua strada in un posto diverso. E loro lo avevano capito; lo avevano appoggiato fin da subito e gli avevano anche lasciato qualche soldo per cominciare e pagare le prime spese. Mario tornava da loro per tutte le feste e, a volte, nei week end. Gli mancava essere circondato continuamente da loro (erano una famiglia molto molto numerosa!), ma adorava la sua indipendenza. E soprattutto, a Roma poteva essere se stesso senza troppi problemi. Se i suoi genitori avevano preso bene il suo essere omosessuale, lo stesso non si poteva dire della gente del suo paese.

Ricordava ancora il giorno in cui aveva confessato alla sua famiglia la sua omosessualità: ci aveva impiegato un po' di tempo a trovare il coraggio di far loro quella rivelazione. Non sapeva come avrebbero potuto reagire. Era l'ultimo di sei figli e quindi, non essendo i suoi genitori più così giovani, Mario temeva che l'argomento "omosessualità" potesse essere loro abbastanza ostico. Con sua grande sorpresa, invece, nonostante non fecero i salti di gioia, i suoi genitori non lo trattarono con disprezzo, né lo maltrattarono. Si può dire quasi che rimasero indifferenti alla cosa, come se, in fondo, fossero già consapevoli della verità.

Fu il resto del paese, invece, a rendergli le cose difficili. La gente per strada iniziò ad additarlo e, in alcuni casi, ad evitarlo.

Per questo, Mario promise a se stesso che avrebbe lasciato Anzio, non appena ne avesse avuto la possibilità.

E così aveva fatto. Aveva fatto i bagagli e, senza troppo rammarico, aveva lasciato la casa dove era cresciuto ed era sbarcato nella capitale, dopo aver risposto all'annuncio di un negozio di abbigliamento che cercava un commesso ed aver ottenuto il posto.

Inizialmente, si era sistemato in un monolocale di periferia, in un quartiere che non avrebbe raccomandato neanche al suo peggior nemico, ma che gli permetteva di non dover spendere troppo tra affitto e utenze varie.

I primi mesi erano stati duri, non poteva permettersi uscite – doveva mettere soldi da parte – e, comunque, non avrebbe saputo con chi farle, considerando che le uniche persone che conosceva erano il suo datore di lavoro e il proprietario del supermercato sotto casa sua, entrambi troppo vecchi per essere di buona compagnia. Lo avevano preso sotto la loro ala protettrice come si fa con un figlio, questo è certo, ma non era ancora così disperato da passare la sua serata in compagnia di uomini che avevano l'età di suo padre. Per quanto riguardava la sua proprietaria di casa, l'aveva vista una volta soltanto – il giorno della firma del contratto – e poi mai più: la donna abitava al nord e Mario le pagava l'affitto tramite bonifico.

Perfetto è ciò che appareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora