Capitolo 1

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   La giovane Keira scorazzava in quel momento nell'affollate strade di Berkeley sopra il suo skateboard. Amava quegli istanti di alta adrenalina, col sole sulla faccia, il vento che ora ti viene contro scompigliandoti i capelli, magari ben composti, facendo volare dalla testa il cappello con frontino, semmai ce l'avessi, facendo svolazzare di qua e di là la maglietta nera o la camicia a quadrettoni di due taglie più grandi legata in vita e facendoti socchiudere così tanto gli occhi che lacrimano e quasi più non ci vedi, mentre ora ti spinge avanti come ti volesse aiutare ad essere più veloce di lui. Keira era sprezzante, ma non troppo, del pericolo che comportava stare nel traffico ed ora era lì, intenta e libera nello schivare questa e quell'altra macchina, nel sorpassarne altrettante troppo lente per lei e per il suo skate. Di amici con cui condividere questa passione ne aveva ben pochi, quasi nessuno, o meglio, davvero nessuno; tutti la trovavano troppo spericolata per i loro gusti da "bravi ragazzi", e quelli che erano più o meno spericolati come lei a Keira non interessavano, perché sapeva fin troppo bene che loro erano ribelli solo perché di questi tempi essere "ribelle" significa essere fighi, migliori, forti e grandi, nonché potenti per una certa misura. Tuttavia non si sentiva troppo sola perché sapeva e sperava nella certezza che prima o poi avrebbe trovato di chi fidarsi, chi l'ascoltasse e si lasciasse ascoltare da lei, chi la aiutasse e chi la incoraggiasse; che diamine, aveva solo 17 anni e tutta una vita davanti!

"Keira? Che ti sei fatta al braccio...? Dove sei stata finora?" le chiese la madre al suo rientro.

"Da nessuna parte..." rispose scocciata la figlia.

"Ancora in mezzo al traffico vero? A fare non so neanch'io cosa con quella tavoletta con le ruote che ti porti sempre dietro!" disse in sua vece la madre.

"Se lo sai perché lo chiedi?!" terminò la conversazione la figlia, sbattendo la porta della sua stanza e barricandovisi dentro ad ascoltare la sua amata musica rock più degli anni ottanta che degli anni attuali.

Jessica Candem aveva all'incirca ventuno anni quando le nacque la piccola Keira ed ora ne aveva trentotto. Per lei fu una gioia immensa sebbene il padre della bambina tagliò la corda subito dopo la sua nascita. "Mi prenderò cura di voi!" disse "Vi tratterò come regine." Ma quali regine si abbandonano all'altare, o meglio, al trono? Detto questo dunque il ragazzo, che di anni ne aveva ventisei e a suo vedere ancora tutta una vita davanti per diventare così presto padre, si dileguò lasciando sola la donna con la figlia. I primi anni furono duri, ma presto, quando Keira crescendo diventava sempre più spigliata e autosufficiente, Jessica ebbe modo di riprendersi e di iniziare un lavoro che tutt'ora mantiene. Proprio questo lavoro, ossia la promotrice pubblicitaria, era il confine, la trincea, l'oceano o i monti che dir si voglia che la separava dalla figlia e che non le faceva avere quel buon rapporto che dovrebbe esserci tra due persone così tanto legate. Dopo un anno dall'inizio del suo lavoro, fatto di viaggi e cene mancate, infatti, l'atteggiamento della figlia Keira cambiò prima poco a poco, poi radicalmente: se prima era calma e comprensiva, ora era indifferente e insofferente, soprattutto quando la madre le annunciava un suo imminente viaggio o un suo più solito "stasera non torno per cena". Jessica si immaginava che il cambiamento della figlia dipendesse da ciò, ma era altresì convinta che Keira capisse che lei lavorava tanto per garantirle una vita comoda e quanto di più incerto, un futuro.

"Si può sapere cosa ti ha fatto arrabbiare stavolta?" chiese la madre entrando di prepotenza nella stanza di Keira. Era ferma sulla porta, una mano alla maniglia e l'altra sul fianco, in attesa di risposta.

Keira non rispose né alzò gli occhi dalla rivista che stava sfogliando.

"Keira?!" fece con più insistenza la madre.

Ancora la figlia non rispose né alzò gli occhi dalla rivista.

La madre le andò quindi vicino, si sedette sul letto cosicché la figlia alzò gli occhi, e le tolse le cuffie collegate allo stereo.

"Mi ascolti adesso?" le disse.

"Si può sapere che vuoi?" fece Keira con un che di strafottenza nel tono della voce.

"Come cosa voglio! Ti ho chiesto cos'hai stavolta! Sai bene che non voglio assolutamente che ti metta a scorazzare in mezzo al traffico di Berkeley, perché diavolo lo fai lo stesso?"

"Non sapevo ti importasse così tanto di me" rispose Keira abbassando ancora gli occhi verso la rivista. "Non hai per caso un nuovo viaggio? E' passato un bel po' di tempo dall'ultimo!" aggiunse poi.

La madre furiosa le strappò di mano la rivista e la fece volare all'altro capo della stanza, sulla soglia della porta, poi le disse: "Mi preoccupo per te! Sei mia figlia! Perché ti ostini così tanto? Bah, oramai non ha più importanza. Un po' di tempo fa ti avevo accennato ad una mia richiesta fatta al lavoro per un'azienda pubblicitaria di Londra, ricordi?"

"Così andremo a Londra quest'estate? Che bello!" esclamò la figlia incurante del tono perentorio della madre.

"Si, ma non tu, solo io" le fu risposto.

"Come solo tu? Avevi detto che la prossima volta mi avresti portato con te!"

La madre Jessica fece uno sguardo rassegnato e allo stesso tempo punitivo, quindi disse: "Tu mi costringi del contrario. Finora ho rifiutato tutte le richieste che mi pervenivano da altre città per stare di più con te, ma dato che a casa non ci sei mai stata con me e dato il tuo ostinato comportamento cos'altro dovrei fare? Portarti con me come tu vuoi, farti fare quello che vuoi cosicché crescerai come vuoi tu e sicuramente in modo sbagliato?"

"E dove dovrei andare io allora? Non ancora dalla zia Mary spero!" disse Keira alzandosi dal letto su cui era seduta.

"Certo che vai lì, non penserai che ti lasci qui da sola!" rispose la madre guardandola.

Keira stava per scoppiare a piangere dalla rabbia che provava; troppe volte la madre le aveva detto che l'avrebbe, prima o poi, portata con sé, ed ora invece...

"Ma sì" disse Keira agitando mollemente una mano e imbronciando la bocca "tanto lo sappiamo entrambe che per te è più importante il lavoro che stare con me. E' sempre stato così e continuerà ad esserlo. Non l'hai ancora capito perché ti odio così tanto? Beh, quando lo capirai fammelo sapere, sempre se io sarò ancora disposta ad ascoltarti" ed uscì di casa per ritornarci solo verso sera e trovare il biglietto della madre sulla tavola: "Sono andata all'aeroporto. Verso le sette arriverà tuo zio Clark che ti porterà al ranch di zia Mary. Buone vacanze."

CAVALLO SELVAGGIODove le storie prendono vita. Scoprilo ora