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Ricordo ancora quel profumo di caffellatte, l'aria pulita e l'odore di casa. Ricordo di aver lavato le tende, il weekend passato, e il profumo di gelsomino aveva inebriato tutta la stanza.
Ricordo le urla strazianti e la sofferenza. Ricordo ogni singola cosa.
Stavo seduta sulla sedia in cucina, appoggiata al tavolo e con gli occhi ancora socchiusi.
Avevo dormito poco, quella notte. Mi aveva tenuta sveglia per tutto il tempo. Non stava molto bene, e così era da quasi due mesi.
Ho continuato ad alzarmi ogni mezz'ora. L'acqua, le medicine, lo sciroppo per la tosse. I cuscini messi sotto la testa per farlo respirare meglio.
Lo guardavo attentamente per cercare di avvertire se stesse bene, se stesse dormendo o se fosse in dormiveglia. Lo guardavo e insieme a lui respiravo anch'io. Quanto era bello. Anche con la febbre addosso. Anche con addosso i segni di tutto quello che stava passando.
Continuavo a percorrere con le dita il suo profilo scavato, lasciandogli qualche bacio delicato sulla fronte calda. Mi pareva stesse sudando e allora gli ho tolto la coperta di dosso, magari così la febbre sarebbe passata.
Mi mancavano i suoi baci appassionati, le sue dita tra i miei capelli e la sua voglia di me. Mi mancava sentirlo addosso, vederlo sorridere e vivere per me.
Quella malattia lo stava consumando, e lentamente consumava anche me.
Quanto tempo perso, quante ore sprecate. Quanto tempo sarebbe ancora rimasto?

Lo strazio dell'anima Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora