VIII

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Ti guardavo con gli occhi di chi sapeva che, prima o poi, sarebbe finita. Ti guardavo consapevole che, un giorno, avresti smesso di essere mio.
Guardavo quei tuoi occhi immensamente profondi e immensamente pieni. Pieni di vita. Li guardavo e mi innamoravo, sempre di più. Ci leggevo dentro la speranza, la gioia, il dolore. Riuscivo a cogliere le sfumature di nero, marrone e del verde che incorniciava tutto quel quadro.
Riuscivo a scavarti nell'anima, nel cuore, fino alla parte più profonda di te, quella che tenevi nascosta, quella che non volevi far vedere a nessuno, quella che tu stesso definivi "troppo fragile" per poterla mostrare a chiunque. Ma a quel chiunque non appartenevo io. Io, sempre pronta a sostenerti. Io, sempre lì a porgerti la mano. Io, a regalarti la mia spalla su cui poterti poggiare nei tuoi momenti di dolore. A volte lo sconforto era grande, troppo grande, e tu non riuscivi a gestirlo da solo. E allora subentravo io, che con il mio falso sorriso correvo da te e ti prendevo tra la braccia, accogliendoti a me.
La tua tristezza era contagiosa, e cominciavo a sentirla pure io, che piano piano iniziai a sentirmi peggio di te.
Era diventato tutto insostenibile. Io, troppo fragile e troppo debole per continuare ad aiutarti. Tu, troppo a terra per poter essere rialzato.
E allora scusa, amore, se non ho avuto la forza necessaria per tirarti su, sollevarti dal suolo gelido e ospitarti nel calore del mio abbraccio.
Scusa, amore, se non ho fatto abbastanza, ma era troppo anche per me.
Scusa, amore. Tornerò quando riuscirò ad alzarmi anch'io, ormai distesa a terra e incapace di muovermi.

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