Capitolo 7

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- Condividere l'esperienza -
Da quando ero piccola ero abituata ad essere impegnata ed avere tanto da fare. Dalla prima elementare: mentre andavo a scuola, facevo anche piano forte e danza sportiva e certe volte anche le faccende in casa. Poi, crescendo si è aggiunta anche la lotta libera. Cominciai dopo poco tempo a staccarmi dalle mie passioni. Gli ospedali diventarono il mio rifugio dal mondo reale. Passai settimane, mesi , anche Natale e Pasqua all'ospedale, ma mai riuscirono a guarirmi. Anzi sono riusciti a peggiorare solo la mia situazione. Però non era così male, ogni volta che ci finivo mi facevo sempre nuove amicizie, con cui mi divertivo molto.
Di solito ero sempre in una stanza con alti 5 o 3 persone. Con le quale alla sera, durante il giorno o quando avevamo voglia e tempo(in quanto durante la giornata avevamo anche varie terapie da seguire) organizzavamo concentri, (dentro la nostra stanza ovviamente) mettevamo musica ad alto volume e ballavamo, ridevamo è certamente organizzavamo gare di corsa per i corridoi, chi riusciva ad arrivare il primo a prendere la sua pastiglia, chi riusciva a raggirare l'infermiera per un po' di sale o zucchero nel cibo...ecc. Non era niente di che, ma ci distraeva dalle nostre malattie.
Ogni mattina alle 6.00, questo era l'incubo giornaliero, l'infermiera entrava e ognuno perdevamo i propri vaccini o pastiglie. Io avevo 3 vaccini al giorno, che mi toglievano anche il cammino da quanto mi facevano male, ma neanche questo ci toglieva la voglia di divertirci insieme.
Certo che non mi piacciono gli ospedali, se è questo che vi chiedete.
1. perché sono "ospedali"
2. perché non tutto era per sempre, prima o poi o dovevo tornare a casa io o i miei nuovi amici.
Però lì ero libera di esprimermi e nessuno mi giudicava. Lì scoprii anche quanti veri amici avessi. Erano pocchi, ma erano quelli che ogni giorno ,o almeno quasi ogni giorno, venivano a farmi visita, a stare con me, a farmi ridere, a scherzare, a rubare i cioccolatini dagli armadi delle infermiere, a portarmi schifezze che non potevo mangiare ma ne avevo tanta voglia( ma in quantità giuste, non volevano di certo farmi peggiorare ). Per farla in breve non mi sentivo sola stando in quel posto. Ma anche gli ospedali fanno parte del mio "essere umano" del presente quindi sentivo il dovere di raccontarvelo. Perché lì imparai a soffrire insieme agli altri, a essere empatica, a essere forte, coraggiosa non solo per me ma anche per gli altri, a condividere, a sorridere veramente, a essere un qualcuno di normale.

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