Capitolo 4

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Sulle sponde del fiume Hudson, si affacciarono le prime luci del mattino. Il dolce e quieto movimento dell'acqua creava degli splendidi giochi di iridescenza, riversando la sua radiosità sulla sfarzosa dimora dei White: un magnifico esempio di architettura Italiana che si estendeva lungo cinque acri privati. Da ogni prospettiva la si guardasse, riusciva sempre a risplendere di vita propria.

Sul display del cellulare, la sveglia segnava le cinque in punto. Mark si affrettò a disattivarla prima che la madre si svegliasse, anche se era pressoché impossibile: le loro stanze erano separate da altre sei camere da letto, se non si comprendevano le aree di svago sparse ovunque per la casa.

La signora White era solita intrattenere numerosi ospiti televisivi e non solo. Le serate che organizzava erano sempre degne di lode e molto apprezzate dagli invitati, che spesso approfittavano dell'ineccepibile ospitalità anche per giorni. Mark lo ricordava bene, così come rammentava che il suo sonno non andava interrotto in alcun modo, soprattutto se tornava da uno dei suoi lunghi viaggi per il mondo.

Il ragazzo rimase supino nel letto per qualche minuto. Si portò il dorso della mano sulla fronte e rimase in ascolto. Non si udiva nulla; il silenzio faceva da padrone in quell'enorme villa.

La sera prima, uscito dalla stadio, si era diretto verso casa dei genitori. Non se la sentiva di passare la notte da solo. Sperava che il calore famigliare lo aiutasse a risollevargli il morale dopo quanto era accaduto, ma all'arrivo non trovò nessuno, fatta eccezione per i domestici.

Si alzò dal letto per andare alla finestra. Con aria assente, guardò il cortile che costeggiava la casa in cerca della macchina del padre: una Mercedes Maybach S 560.

«Forse non è stata una grande idea venire qui». Pensò.

Lasciare la New York Knicks non fu una scelta facile e le conseguenze che ne seguirono ancora meno: la critica ritenne il gesto di Mark come un vano tentativo di uscire dall'ombra del padre, i fan traditi lasciarono messaggi pieni di insulti sulle pagine dei social e i compagni di squadra, da sempre considerati come fratelli, gli voltarono le spalle.

«Non mi aspettavo di vederti».

Una scura presenza apparve alle spalle del ragazzo, che sobbalzò per la sorpresa. Mark mandò giù quel colpo mentre assumeva un'aria quasi marziale.

«Se è per questo nemmeno io...papà».

L'uomo sorrise appena e lasciò intravedere le prime pieghe del sorriso.

«Cos'è che ti preoccupa davvero figliolo?».  Avanzò di un passo. Ora i loro visi erano a un palmo l'uno dall'altro. Mark stava per fare un passo indietro, ma si obbligò a rimanere immobile.

«L'averti sorpreso qui...o la tua imbarazzante sconfitta?»

Mark sgranò gli occhi in pieno stato d'agitazione. Con la bocca premuta sulla federa del cuscino, ansimava come un pesce fuor d'acqua. Impiegò qualche secondo prima di capire che si era trattato di un sogno.

Allungò una mano verso il comodino vicino al letto per controllare l'orario: era ancora presto per iniziare il solito allenamento mattutino.

Espirò con forza, sollevato da quell'immediato piacere. Con quel semplice gesto gli era sembrato di gettar via ogni sensazione negativo che gli aveva procurato quel sogno. Si tolse le coperte di dosso per mettersi seduto e regolare meglio il respiro.

Osservò distrattamente lo spazio intorno a sé; non ricordava nemmeno più l'ultima volta che aveva dormito lì, né la ragione per cui lo aveva comprato: voleva mostrare un'effimera conquista con un attico da un milione di dollari.

Non si era nemmeno preso la briga di arredarlo, nulla in quell'appartamento lo rappresentava davvero, fatta eccezione per alcuni trofei tenuti in una teca di vetro nel salone. Dopo quanto era accaduto si domandò se era ancora il caso di esporli con così tanto orgoglio.

Un dolce fuori campoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora