Capitolo 3

263 61 336
                                    

Quel pensiero l'accompagnò per tutto il tempo nonostante la faticosa giornata di lavoro: più volte si era ritrovata a "coprire" la collega che si assentava per rispondere alle incessanti e inopportune telefonate della madre durante le ore in pasticceria.

«Dio, dammi la pazienza che se mi dai la forza faccio un macello», si sentì borbottare nello spogliatoio.

«Scommetto che era di nuovo tua madre», Sara si avvicinò a Nancy per riporre via la divisa da lavoro.

«Sì... Mi ha rinfacciato che la lascio sempre sola e che non le do sufficienti attenzioni. Grazie a lei vivo come una monaca di clausura, ma a quanto pare non è abbastanza!»

Sara la guardò senza proferire parola. Conosceva fin troppo bene le assurde pretese della madre. Ogni volta che Nancy provava a ritagliarsi degli spazi solo suoi, piovevano dal cielo rinfacci, paternali, crisi mistiche e qualsiasi altra cosa fosse stata utile allo scopo.

Per un momento si sentì in colpa; forse aveva fatto male a insistere.

«Se non te la senti di venire stasera, non ci sono problemi...», disse tentennando. Non voleva mettere altra brace sul fuoco.

«No, vengo volentieri, tanto mia madre ha sempre qualcosa di cui lamentarsi. Ormai ci sto facendo l'abitudine». Rispose rassegnata.

Sara abbozzò un sorriso. In cuor suo sperava che l'amica l'accompagnasse: lo sport l'annoiava a morte; figuriamoci assistere a una partita da sola.

A rifletterci bene, Steve avrebbe potuto pensare a un diverso genere di regalo: due biglietti per un cinema sarebbero andati più che bene. Luci spente, coppie che si sbaciucchiano; chi avrebbe fatto caso a loro?

Stranamente però, aveva optato per una partita di basket. Forse quella competizione era davvero importante: la metropolitana era piena di cartelloni dei Knicks e a giudicare dai tifosi che stavano affollando il loro stesso treno, era proprio così.

Tra loro c'era l'immancabile coppietta che si spalmava sui sedili del vagone.

Sebbene una delle regole da osservare per chi viaggia in metro è quella di non fissare le persone, i due innamorati ce la stavano mettendo tutta per attirare l'attenzione.

Si portò vicino all'orecchio dell'amica e non perse occasione per canzonarli: 

«Credi che riescano a respirare?»

Divertita da quella osservazione, Nancy trattenne una risata: in effetti le loro labbra sembravano incollate ermeticamente, e l'ipotesi che riuscissero davvero a respirare non sembrava poi così inverosimile.

Eppure, malgrado la scena fosse poco convenzionale, Nancy avrebbe dato qualsiasi cosa per essere al posto di quella ragazza.

«Tu hai mai avuto una vera relazione?» Disse seria.

Un improvviso scossone del treno fece vacillare il precario equilibrio dei suoi passeggeri e Sara fu costretta a sorreggersi a un altro corrimano.

«Dipende...», fece leva sui muscoli delle gambe per ritrovare il giusto contrappeso. «Tu che intendi per "vera"?»

«Una storia importante», iniziò a spiegare. «Il desiderio profondo di stare con l'altra persona. Il rischio per cui valga la pena buttarsi». Enfatizzò quell'ultima frase come se stesse recitando un poema di Shakespeare.

Sara la guardò annoiata e ribadì: «E cambiare la tua vita solo per andare incontro ai suoi bisogni ... »

Nancy la osservò perplessa, in attesa che continuasse il discorso.

«Ritrovarti dieci chiamate sul cellulare, dover subire la sua assurda gelosia perché, una volta insieme, diventi di sua proprietà.»

Nancy colse fin troppo bene l'indisposizione di Sara e per un momento si ammutolì, certa di averla offesa con la sua eccessiva curiosità.

Un dolce fuori campoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora