Giorno 2

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Stamattina sono arrivato in azienda in anticipo così avrò il tempo di fare un giro e vedere in che postazione è stata collocata Sonia. La trovo alla roccatura, è lì con dieci minuti di anticipo e sta sistemando delle bobine. Non ci vuole lavorare nessuno lì, a quel macchinario obsoleto che si diverte tanto a combinare casini invece di limitarsi a fare ciò che deve, ovvero avvolgere i filati alle rocche.

Povera Sonia penso, le hanno appioppato la postazione più temuta dagli operai della Tex. Dista meno di un campo di bocce dalla mia, ma è occultata da un immenso scaffale di metallo ricolmo di scatoloni.

Sollevo una mano per salutarla, ma filo via a testa bassa senza aspettare o almeno verificare che mi risponda. Vado al mio posto e accendo la ricamatrice. Se non ci fosse quel maledetto scaffale, potrei gratificarmi di una splendida vista, ma in fin dei conti sono felice che sia posto tra di noi. Mi protegge dalla tensione che vivrei se i nostri sguardi corressero costantemente il rischio di incrociarsi.

Ora che non può sentirmi nessuno, pronuncio a bassa voce il suo nome. Il rumore dei macchinari accesi copre il debole suono che emetto. Poi la vedo: Sonia mi prende la nuca e mi tira a sé per farmi chinare, quanto basta perché le sue labbra possano accostarsi al mio orecchio. Mi sussurra qualcosa, sento il suo mento sfiorarmi il collo e io... continuo a putrefarmi nel feretro che è la parte migliore della mia esistenza: la fantasia.

Ripeto meccanicamente i gesti che compio ogni giorno, sostituendo man mano i tessuti lavorati con quelli vergini nelle apposite sedi, controllando che i ricami siano perfetti. Mi viene in automatico, non occorre che mi concentri troppo.

Precipito nella trance dell'operaio, quello stato di nulla cosmico in cui si finisce dopo un po' che si ripetono le medesime azioni a cadenza regolare, quando una specie di latrato mi dà la sveglia. È l'effetto acustico che produce la voce di un solo uomo al mondo: Giorgio, il nostro capo reparto. Stride quasi volesse ferirti le orecchie e trapassa tutti i rumori meccanici della fabbrica.

«Che cavolo stai facendo?» urla come se lo avessero appena infilzato con una fiocina, e poi: «Che ce ne facciamo di questo groviglio di filo adesso, eh? Devi dormire a casa, lo capisci che qui bisogna essere attenti? E muoviti un po', mi sembri una rimbambita!»

Al 'groviglio di filo' capisco che ce l'ha con Sonia, incolpevole vittima di un macchinario fetente a cui nessuno si decide a fare manutenzione.

Giorgio abbassa un po' il volume, forse solo per stanchezza, ma dopo il 'rimbambita' capto un altro paio di appellativi poco cortesi che le rivolge.

Non è che prendo l'iniziativa, semplicemente mi accorgo di avere aggirato il maxi scaffale e ora mi trovo accanto a quell'idiota di Giorgio, però mi rivolgo a Sonia:

«Lo hai fatto apposta?» le chiedo serafico.
Oh cacchio, sto parlando!
Rimango impostato come un palo dell'illuminazione stradale che intende riversare tutta la sua luce sulla meschinità di Giorgio.

«No, no» dice Sonia impaurita. «Si è spostata una bobina perché non aderiva bene al perno, ma io ne stavo già sistemando un'altra che aveva lo stesso problema, e quando me ne sono accorta si era già ingarbugliato tutto...»

«Visto? Abbiamo appurato che non c'è dolo. Piuttosto, hai visto come è ridotta questa roccatrice? Ti assicuri ogni tanto che i macchinari siano a posto o ti diverti di più a fare la voce grossa con i sottoposti?» Sparo alla volta di Giorgio.
Ma lo sto facendo davvero? E proprio con Giorgio mi doveva partire la parlantina?
Mi mordo la lingua. Suppergiù ho appena accusato il capo reparto di essere lui ad avere sul groppone alcune mancanze e non credo che questa cosa mi girerà a favore.

Giorgio per un momento pare fare le scintille, poi fa un lungo respiro e parla con calma non molto propiziatoria:

«Ernesto, che rivelazione, alla fine hai deciso di farcelo vedere che sei un uomo!»

Come mio vecchio stile, non rispondo. Mi accosto all'intrico di filo.

Vediamo un po' cosa si può salvare qui, penso, ma una breve ispezione mi è sufficiente per farmi capire che non c'è nulla da fare se non tagliare via la gigantesca matassa che ha avviluppato un braccio del macchinario. Mi scappa da ridere e chiedo a Sonia delle forbici. Pronta come un'assistente di sala operatoria, me ne porge un paio. Subito dopo mi accorgo che sta ridendo sotto i baffi e che Giorgio se n'è andato, rapido e senza far rumore.

Scoppiamo a ridere nello stesso istante. È una risata che stura una vasca intasata di paranoie e permette loro di fluire via.

Sonia prende anche per sé una forbice, più piccolina, e mi aiuta a tagliare il filo. Quasi ci nasconde la faccia nell'ammasso di filato per soffocare le risa e io mi meraviglio di quanto sia ancora più bella vista da così vicino.

Le parole nella bollaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora